Recensione: Percival Everett, Quanto blu

Percival Everett
QUANTO BLU
Edizioni La nave di teseo, pp. 314, € 20
Traduzione di Massimo Bocchiola

La traduzione letterale del titolo (in originale So much blue) è perfetta, lasciando al letture il compito di interpretare il plurivoco significato del colore. Perché in inglese il blu è sì un colore, ma anche uno stato d’animo (depresso), una disposizione dell’ambiente (tetro) più svariati altri significati contestuali. E il protagonista della storia, Kevin Pace, si trova a viverli tutti.
Conosciamo già Percival Everett per i suoi precedenti lavori, tutti di estremo interesse e piacevolissima lettura, e anche qui il lettore sarà soddisfatto; ma, se in Glifo siamo rimasti stupiti dalla cultura e dall’inventiva, in Cancellazione dalla densità del vissuto raccontato, in Deserto americano dall’originalità e dal tono dissacrante, qui restiamo impressionati dal blue. Perché i tre momenti temporali in cui si articola la storia giustificherebbero traduzioni diverse del titolo originale. Nel ‘79 Kevin è in Salvador per salvare il fratello dell’amico Richard; dieci anni dopo, quando sta per affermarsi come pittore, è a Parigi per una mostra e si appresta a tradire la moglie Linda. Trent’anni dopo il Salvador è in una vita ormai stabilizzata ma i figli stanno crescendo e niente è mai immobile, tutto scorre e non ci si può immergere due volte nello stesso fiume. E se ci si trova di fronte ad una scelta, occorre scegliere su che sponda approdare.
Con la sua scrittura piana e noncurante, colta e gradevole, mai ridondante, Everett ci conduce per mano a riflettere sulle contraddizioni ed incoerenze della vita, sulle nostre capacità di affrontare tutto ciò e su come il risultato dell’incontro di questi due stati di fatto determini ciò che alla fine siamo diventati.
Some kind of blue.

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