Recensione: Percival Everett, Glifo

Percival Everett
GLIFO
Edizioni Nutrimenti, pp. 211, € 15
Traduzione di Marco Rossari

Cosa direste se un bambino, poniamo il vostro bambino, alla serafica età di dieci mesi vi scrivesse un biglietto con scritte queste parole: «Uno: Il mondo è tutto ciò che accade. Uno-punto-uno: Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.» Questo è quello che accade alla madre di Ralph, il piccolo genio protagonista del romanzo. Il padre di Ralph, Cicciobombo, non crede ai suoi occhi, letteralmente, e quindi la madre, Mammina, diventa il solo tramite tra Ralph e il mondo. Inizia a portargli nella culla libri che il piccolo divora con una voracità invidiabile. In una società come la nostra però, dove ogni deviazione dalla norma viene guardata con un certo sospetto, e un bambino con un QI di 475 non è visto come un miracolo, ma come un potenziale pericolo. Il piccolo Ralph, che nonostante il QI elevato non è fisicamente autosufficiente, verrà rapito per tre volte consecutive, mentre Mammina e Cicciobombo lo cercano. I rapitori incarnano successivamente la Scienza, le Armi e i Diritti Umani/Amore per i Bambini, le tre grandi piaghe che affliggono l’umanità.
Mentre passa da una mano all’altra, Ralph analizza tutto ciò che gli succede con l’acume di un Wittgenstein prima maniera, rifiutandosi tra le altre cose di parlare, benché ne sia capace: tutto il suo tempo è dedicato alla lettura e al pensiero. Il lettore viene così condotto per le diverse situazione in cui incorre il nostro eroe dimenticando la palese assurdità dei presupposti della storia. Si riesce così ad accettare, trovandolo persino divertente e giustamente irriverente, che nella storia sia coinvolto un Roland Barthes al limite della macchietta. Il calcio nelle palle che si prende da Mammina quando ci prova, cosa avrà voluto significare?
Molti altri sono i punti dove il libro è arricchito da citazioni colte e l’uso della struttura narrativa è così smaliziato (a pagina 113-114 c’è una piccola storia costruita sull’allitterazione della lettera p che lascia a bocca aperta) da permettere all’autore di introdurre, quasi alla fine del libro, alcune pagine strutturate come il Tractatus che giustificano ogni racconto che prenda la forma di una storia; a patto, ovviamente, che questo racconto non pretenda di andare in profondità, di scavare nel significato delle cose, perché non vi sono cose ma solo fatti. E questi non hanno spessore, sono punti che si conseguono lungo una linea, il glifo.
La linea è tutto.

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