Recensione: Percival Everett, Cancellazione

Percival Everett
CANCELLAZIONE
Edizioni Instar, pp. 312, € 16
Traduzione di Marco Bosonetto

Molti sono i motivi che stanno dietro il successo commerciale di un libro e tra questi non credo proprio che il primo sia il valore letterario. Uno che ha invece una grandissima rilevanza è la casa editrice. Se questo libro fosse uscito con Mondadori o Rizzoli, sarebbe probabilmente diventato un caso. Ne avrebbero parlato tutti, si sarebbero spesi fiumi d’inchiostro, si sarebbero creati le classiche fazioni pro/contro; tutte cose già viste, insomma. O magari no. Forse proprio perché non è stato preso dagli editori maggiori possiamo supporre che il contenuto di questa storia sia stato giudicato inadatto al grande pubblico, inadatto a suscitare quell’interesse mediatico che può garantire alte vendite e neppure a generare il famoso, e peloso, meccanismo del passaparola. Peccato, perché questo libro è un capolavoro.
Thelonious Ellison, Monk per gli intimi, è un intellettuale che insegna e scrive romanzi; poi è anche nero americano e molto colto. L’attività di scrittore, benché prolifica, non riscuote molto successo (commerciale, l’unico che conti, ché la critica lo sostiene). Monk ha un fratello, gay, una sorella, medico abortista, e una vecchia madre che vive con la domestica; il padre è morto da molto. È evidente che siamo in una famiglia normale, che ci viene descritta con parole pacate e ragionevoli.
L’ennesimo romanzo rifiutato però, fa scattare qualcosa nella testa di Monk. Si mette a tavolino e, in dieci capitoli, butta giù una storiaccia pulp (titolata in prima battuta Stato patologgico, troppo colto; ribattezzata: Cazzo) scritta con i più triti luoghi comuni del genere. C’è il nero violento ed emarginato, la sua famiglia disgregata, la perdita del lavoro, la violenza inaspettata e subito repressa dalla polizia. Niente di più banale poteva uscire dalla penna d’uno scrittore. La Randhom House offre 600.000$ per il manoscritto.
Né Mondadori né Rizzoli avrebbero offerto tutti questi soldi per questo libro, mentre li offrirebbero per un libro che incontri il gusto di tutti, un libro il cui standard di qualità sia quindi una specie di minimo comune denominatore. La storia che Everett racconta non è, evidentemente, tanto generica da poter piacere a tutti. Man mano che passano le pagine, succedono delle cose che spingono la storia fuori dai binari abituali. A questo si aggiunga il fatto che Monk (o Everett, che è lo stesso) intercala alle vicende della sua famiglia spezzoni di libri inventati, dialoghi immaginari tra personaggi famosi e, last but not least, le azioni dello scrittore fittizio che ha inventato come responsabile di Cazzo, Stagg.
La cancellazione del titolo è relativa all’opera d’arte che realizzata secondo le richieste del mercato elimina la sua stessa possibilità d’essere reale. Eppure, proprio dalla negazione della possibilità dell’arte emerge la richiesta d’arte del pubblico, richiesta che non potrà quindi essere soddisfatta dal mercato. Questo libro è un capolavoro proprio perché Everett usa la non arte (il romanzo buono per tutti con un minimo comune denominatore) come scusa attorno alla quale creare un’opera d’arte. Il problema, che è tale solo per le vendite, è che su questa storia non è possibile schierarsi genericamente pro o contro, come per il Codice Da Vinci, né aspettarsi il passaparola emozionato di stuoli di lettrici che fagocitano le disavventure dei cacciatori d’aquiloni.
Sempre per le vendite, questo libro può solo piacere o restare invisibile, che equivale ad essere cancellato.

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