Recensione: Gilles Lipovetsky, La fiera dell’autenticità

Gilles Lipovetsky
LA FIERA DELL’AUTENTICITÀ

Edizioni Marsilio | pp. 385 | € 20
Traduzione di Francesco Peri

Iniziamo la breve scheda del corposo libro di Gilles Lipovetsky segnalando il cambiamento epocale che la parola autentico ha subito nei tempi recenti. Una volta era autentico chi restava fedele a un principio, che ricercava nell’isolamento e con la riflessione privata il proprio vero sé e a esso si atteneva. Oggi è tutto diverso: è autentico che lascia libero sfogo al sentimento del momento, chi esprime la naturale contraddittorietà dell’essere umano in atti e parole, senza preoccuparsi dell’opinione altrui. Il nostro autore analizza le tre fasi storiche in cui si è affermata questa nuova visione dell’autentico. Si parte dal diario di Rousseau (fase 1) in cui la vita privata dell’autore, messa senza timore sotto gli occhi di tutti, diviene il modello cui il romanticismo si ispirerà nell’immediato futuro; la fase 2 inizia con la contestazione degli anni ‘60-’70 e si trasforma in breve in una contestazione della sfera economica: è autentico chi non pone il denaro al centro della propria vita. Gli insuccessi della seconda fase portano alla terza, in cui l’autenticità viene ricercata all’interno dei meccanismi e dei luoghi gestiti dal capitalismo consumistico. A seguire, Lipovetsky indica tutte le luci e le ombre che l’autenticità presa come valore unico e dominante della vita sociale ha sulla vita sociale stessa.
L’analisi del sociologo francese attualizza e torna a porre all’attenzione quanto già detto dal grande Cristopher Lasch che, sul finire degli anni ‘70, espose ne La cultura del narcisismo la spinta all’esibizionismo che animava la cultura contestataria. Etichettare come autenticità il narcisismo è segno dei tempi. Ciò che nasce come una ricerca di autoaffermazione motivata dall’insicurezza di base (ricordiamo che Lasch faceva appello a ragioni psicoanalitiche basate sul rapporto con i genitori per sostenere la sua tesi) diviene l’unico modo possibile per realizzarsi. Ciascuno ha diritto a un quarto d’ora di autenticità, si potrebbe parafrasare. Questa ricerca di autenticità, accettazione sociale della malattia del narcisismo, segnala un profondo mutamento nel rapporto dell’uomo rispetto al reale, di cui l’arte è l’unico tramite. Ecco come Lipovetsky chiama in causa Hegel per spiegare la situazione: «la religione dell’arte si è spenta. L’arte non è più sentita come espressione di verità ultima, inaccessibili alla ragione filosofica e scientifica, come una rivelazione dell’Assoluto, dell’Essere, dell’Invisibile, delle Verità più fondamentali dello spirito» (p. 200). Non ci sono più verità fondamentali dello spirito e quindi l’arte diviene un mezzo per il soggetto; diciamo che l’arte passa da scopo della vita a mezzo per farsi una vita.
«Storicamente parlando, le aspirazioni a un’esistenza autentica si sono espresse anzitutto all’esterno della sfera economica, nella prima fase; poi, in un secondo tempo (seconda fase) addirittura contro. Oggi invece investe gli oggetti del consumo, le mode, i marchi. Nella terza fase si afferma l’esigenza di un modo di consumo vero e genuino. Il bisogno di autenticità non si traduce più in una lotta contro il conformismo o nella volontà rivoluzionaria di cambiare il mondo come nella seconda fase ma nella ricerca di prodotti veri o presunti tali sui mercati dei beni di consumo. Oggi il senso e l’autenticità non vanno ricercati in uno scostamento assoluto dalla vita quotidiana, ma nelle pratiche e nei luoghi stessi del consumo commerciale. Le aspirazioni all’autenticità si affermano appunto nella quotidianità, non più contro i suoi valori. Domanda ossessiva e offerta pletorica di segni e prodotti autentici. Il nuovo regime di autenticità che sta prendendo forma altro non è che la fase mercificata e consumistica» (p. 316). Lasch scriveva sul finire della seconda fase – e come lui Debord ne La società dello spettacolo – e quindi assume un tono un po’ moraleggiante, di chi è estraneo a questa dinamica; Lipovetsky invece, quarant’anni dopo, è consapevole del fatto che la fiera dell’autenticità non risparmia nessuno, che anche i filosofi ne fanno parte. La fiera dell’autenticità è un dato di fatto, uno stato delle cose di cui è bene essere consapevoli, per limitarne gli effetti.
L’autenticità è diventata un paradigma esistenziale e, se la si vuole lasciare, occorre sostituirla con un nuovo paradigma; ma, come diceva Kuhn, un paradigma può sostituirne un altro solo se si dimostra più adeguato a interpretare la realtà: possiamo supporre ci sia qualcosa di più adeguato di ciò che è autentico?

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