Recensione: Ling Ma, Febbre

Ling Ma
FEBBRE
Edizioni Codice, pp. 345, € 19,00
traduzione Anna Mioni

I romanzi post apocalittici hanno una solida tradizione letteraria, dalla Nube purpurea a La peste scarlatta si sprecano le situazioni immaginate in cui un ridotto manipolo di umani deve fare i conti con il crollo della società e le conseguenti difficoltà di sopravvivenza. L’esordio di Ling Ma si accoda a questa tradizione, riservando però una parte direi meno rilevante all’esito della fuga per privilegiare la dimensione pre-catastrofica, quasi voglia significare che il futuro è meno interessante del presente e del passato. Il tutto comunque, con un’ottima scrittura.
La giovane Candace Chen, i cui genitori si sono trasferiti in America dalla Cina poco prima di piazza Tienanmen, lavoro presso un editore di New York, e da lì vede il progressivo diffondersi della febbre, una malattia sconosciuta che attacca l’uomo e lo conduce o alla morte o ad uno stato di semi vita simile agli zombie dei film dell’orrore. Quando il libro inizia, l’epidemia ha già terminato il suo lavoro, lasciando ai pochi superstiti i resti della civiltà. Mentre con questi superstiti si muove verso Chicago, Candace racconta la sua vita a New York e il suo amore per Jonathan, intrecciandolo alle vite dei genitori che hanno affrontato l’emigrazione per donarle una vita migliore.
Questi tre filoni narrativi sono intrecciati fino alla fine con estremo equilibrio, e lo scontro tra Candace e Jonathan, che è forse la parte più sostanziosa del romanzo, è uno scontro ideologico in cui si mette in chiaro che le sole possibilità sono o un rifiuto completo del sistema o un venirci a patti. Ma quando tutto crolla, nessuna delle due opzioni ha più senso, bisogna solo proseguire lungo una strada disseminata di carcasse. E sperare che la febbre non ti colga.

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