Recensione: Jack London, La peste scarlatta

Jack London
LA PESTE SCARLATTA
Edizioni Adelphi, pp. 81, € 9,00
A cura di Ottavio Fatica

Il nonno e i nipoti; questi sono gli unici personaggi vivi della storia, tutto il resto è memoria. Ormai, infatti, solo di memoria è fatta la civiltà dell’uomo distrutta da un’inspiegabile peste scarlatta. Sono passati sessant’anni e il nonno è uno degli ultimi superstiti di quei tempi. Con lui, le nuove generazioni, composte da ragazzi atletici ma poco inclini alla riflessione. Eppure, il fascino delle storie si fa sempre sentire e, in una pausa della caccia, il nonno è incitato dai ragazzi a raccontare la sua: e noi pure lo ascoltiamo.
Sembra di vedere uno di quei film, tremendi, sulla fine della civiltà in seguito a un conflitto nucleare. Solo che siamo all’inizio del XX secolo e non ci sono moto e mitragliatori, ma solo la paura del contagio. Quando inizia a diffondersi in America, le città fanno il possibile per isolarsi, ma la malattia non conosce ostacoli. Le persone si riuniscono in piccoli gruppi e cercano una via di fuga dalla civiltà morente. Il nucleo di sessanta persone cui il nonno si aggrega perisce per intero nel tentativo di uscire dalla città e solo lui sopravvive, in assoluto isolamento, per due anni; dopo questo periodo si aggrega ad un piccolo gruppo, che è ora la sua tribù.
L’eccellente scrittura di London rende il libro di facile lettura, senza scadere nella banalità; vale la pena di sottolineare come l’elemento dominante in questa fuga non è tanto la cattiveria degli uomini, quanto il loro dolore. Non domina il timore d’avvicinarsi agli altri, quanto la sofferenza per dovervi rinunciare alla scoperta della malattia. Anche questo è un segno dei tempi che la letteratura puntualmente registra. Ma ciò che più conta è vedere come tanti libri successivi in cui domina la visione apocalittica del destino dell’uomo abbiano dei predecessori che ne precorrono tutti i temi, a testimonianza che la paura generata dalla lotta tra l’organizzazione sociale – che si suppone indistruttibile – e la natura – che si sa invincibile – abbia da sempre un posto nelle menti dell’uomo civilizzato.
Come dargli torto?

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