Recensione: Philip Roth, I fatti. Autobiografia di un romanziere, Einaudi

Philip Roth, I fatti. Autobiografia di un romanziere
Einaudi, pp. 203, euro 18.50
Traduzione Vincenzo Mantovani
Philip Roth si confessa, ma lo fa da scrittore di romanzi; scrive un’autobiografia senza svelare cioè i particolari della sua vita, senza scendere nel gossip, che banalizzerebbe il suo lavoro ma rimanendo al livello della creazione. Si parte quindi dall’infanzia nel nido caldo della famiglia ebraica di seconda generazione cui Roth appartiene, per giungere alla scrittura del libro che ha rivelato questo grande scrittore al mondo, Il lamento di Portnoy.
La scrittura di Roth è qui più impegnativa che altrove. Questo libro sembra uno strascico dei sette anni d’analisi che Roth ha affrontato per uscire dal disastroso matrimonio con Margaret Martinson (protagonista del romanzo Quando Lucy era buona, l’unico di Roth che ha per protagonista una donna), personaggio al quale è del resto dedicata la più parte della biografia. Più che i fatti questo libro presenta una visione dei fatti. Un ottimo libro per chi voglia capire che, per scrivere, i fatti sono la semplice materia prima, che occorre superare per giungere al loro significato. Che non è alla portata di tutti, perché i fatti li abbiamo tutti sotto gli occhi.

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