Recensione: Philip Roth, Nemesi, Einaudi

Philip Roth, Nemesi
Einaudi, pp. 187 , euro 19.00
Traduzione Norman Gobetti

Con questo libro Philip Roth ci riporta nei quartieri ebraici dell’America della sua infanzia. Siamo nel ’44 e, nonostante la guerra, Bucky Cantor è a New York ad occuparsi dei ragazzi di un campo estivo. Occorre inquadrare bene questo soggetto. Alto, spalle squadrate, fisico possente e prestante ma, ed è per questo che è stato scartato alla leva, enormemente miope, tanto miope da non potere andare a combattere. Ha una bella fidanzata che, nell’estate del ’44 è lontana, in un campeggio, protezione montuosa contro la terribile epidemia che sta sconvolgendo l’estate metropolitana delle famiglie newyorkesi: la polio. Bucky ha perso la madre da piccolo ed il padre, scorno e disonore della famiglia, è stato messo in galera per appropriazione indebita. Così, Bucky è stato allevato dal nonno, uomo di poche parole e sani principi. E Bucky è cresciuto come lui, sano e pieno di principi.
     Ma tutti questi principi non impediranno che il fondo di irrazionalità che sostiene una persona del genere esca allo scoperto quando una serie di sfortunati eventi derivanti dall’epidemia colpiranno lui e le persone che ama. E’ una nemesi, una vendetta divina – o del fato, che è comunque una divinità impersonale – che lo colpisce per fargli pagare il suo egoismo, il suo pensare ai propri interessi e non a quelli della collettività, il suo dubbio nei riguardi di Dio: se c’è il male, come può esserci Dio?
     Un altro buon libro di Philip Roth che ci riporta con forti tinte impressioniste ad un’epoca passata, quasi mitica, dove i maestri erano bravi e i ragazzi disciplinati, dove le piccole storture della vita passavano via, sotto silenzio, di fronte all’inesorabile progresso costantemente in vista; ma, repentinamente, questa età dell’oro scompare, anche i buoni, i meritevoli, soccombono ai colpi del fato. E di fronte a questo stato di cose, immutabile, connesso quasi alla stessa struttura della realtà, il narratore – uno dei ragazzini di Bucky, colpito dalla polio ma che è riuscito a realizzarsi nonostante la menomazione – non può fare altro che ricordare il suo allenatore prima della vendetta divina, prima della nemesi, che scagliava con possente gesto un giavellotto nel cielo del parco giochi.
     In assenza di nemesi Dio non si nota.

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