Recensioni: Roslund & Hellstrom, Tre secondi, Einaudi.

Roslund & Hellstrom, Tre secondi
Einaudi, pp. 651, euro 21
Traduzione Anna Airoldi

Solo una parola basterebbe a definire questo romanzo: banale. Ma, come capita sempre con le parole, una tira l’altra e dietro a banale possiamo fare seguire tutte quelle, sinonime, che indicano un prodotto fatto in serie, con tutte le caratteristiche comuni all’immaginario televisivo del pubblico occidentale. Un ex delinquente viene ingaggiato dai servizi svedesi per sgominare una banda di narcotrafficanti polacca. In dieci anni il tizio, Piet per la cronaca, arriva quasi al vertice. Qui gli viene ordinato di farsi arrestare per introdursi nelle carceri di massima sicurezza da dove gestire il mercato della droga con livelli di guadagno molto più alti: là dove la merce è proibita vale molto di più, con buona pace di tutti i proibizionisti. Ma nel carcere viene smascherato, per via di certi giochi di potere che si verificano ai vertici. Dal carcere, con un artificio che dire macchinoso è poco, Piet riesce alla fine a scappare. Fine del libro.

Ci sono un paio di scene estremamente violente ma nessuna struttura di personalità dei protagonisti. La storia è lenta e farraginosa, troppi dettagli inutili e le motivazioni che spingono i personaggi, soprattutto i dirigenti della polizia, sono a dir poco infantili. In definitiva un prodotto buono per il largo pubblico, che brama il ritorno di un polpettone paragonabile alla trilogia di Larrson. Sinceramente da Einaudi ci si poteva aspettare di meglio.

Però.

Però questo libro è evidentemente un esempio, un modello. E’ un punto estremo di una tendenza implicita nell’arte, che oscilla tra l’espressionismo ed il costruttivismo radicale ed è quindi interessante da analizzare. Per farlo guardiamo la specifica scena del finale, quando Piet finge la morte che gli permetterà di uscire dal carcere.

Piet, minacciato dai reclusi affiliati alla mafia polacca che voleva fregare, ha sequestrato due persone al terzo piano d’uno degli edifici del carcere. C’è un’unica finestra, che guarda una chiesa. La chiesa dista 503 metri che, nella sua fase di sopralluogo, Piet ha stimato a occhio. Piet sa che la polizia, per salvare uno degli ostaggi, un secondino, gli sparerà da quella chiesa. Ma la distanza implica l’uso di un fucile dell’esercito, i cui proiettili viaggiano solo a 850 metri al secondo. Piet, che casualmente prima di diventare una spia ha ricevuto un addestramento all’uso di fucili di precisione, ha messo un microfono dove pensava si sarebbe messo il cecchino, che in effetti – che culo – si mette lì. Quando sente l’ordine di sparare sa già, non si sa in base a quale algoritmo, che ci vorranno tre secondi perché la pallottola lo raggiunga; notiamo incidentalmente che stanti velocità e distanze dichiarate, ci vuole meno di un secondo al proiettile per colpire la testa del bersaglio. C’è però una latenza x tra l’ordine e l’esplosione del colpo; Piet deve ovviamente aspettare fino all’ultimo prima di spostarsi per evitare la pallottola dando nel contempo fuoco alla cisterna di gasolio che produrrà il fumo che gli permetterà di fuggire e farà esplodere il malcapitato secondo ostaggio, un detenuto, imbottito di nitroglicerina; fa niente se si troveranno i resti di un uomo solo, al cecchino deve restare l’immagine di un uomo che cade e muore. Solo la lettura integrale delle pagine potrebbero dare il senso dell’irrealtà della situazione, ma penso che così basti. Mi pare evidente del resto che ciò che conta in questa scena non è il tasso di realismo presente quanto la possibilità che questa scena venga montata in una sequenza filmica. In questo senso è perfetta. Ormai per essere appetibile al largo pubblico, un prodotto artistico deve riprodurre non la realtà ma la sua finzione televisiva. E’ la vittoria del montaggio, della costruzione frammentaria, sull’espressione di senso che deriva dall’esposizione ordinata delle cose.

Adorno paventava negli anni ’60 la fine dell’arte. Questo prodotto potrebbe essere preso per quello che assolutamente non intende essere, un memento del suo ammonimento. Manca poco.

Forse meno di tre secondi.

One thought on “Recensioni: Roslund & Hellstrom, Tre secondi, Einaudi.

  1. Mah. Forse esageri un po’. Come hai detto giustamente, si tratta di un prodotto appetibile al largo pubblico, e secondo me è un OTTIMO prodotto, considerando la fuffa che c’è in giro. Certo, è narrativa d’intrattenimento, eccellente narrativa d’intrattenimento, con un ritmo incalzante e cinematografico, o televisivo, ma i personaggi a me sembrano mossi da motivazioni tutt’altro che superficiali o infantili…
    Einaudi è un editore e, come tutti gli editori che si rispettino (più o meno prestigiosi) fa il suo lavoro, cioè cerca di VENDERE libri. E spesso ci riesce, con buona pace di Adorno (peraltro ben presente nel catalogo della casa editrice…)
    Infine, non è carino e nemmeno corretto svelare così dettagliatamente, anzi direi così brutalmente, l’intera trama, ivi compreso il finale, di un romanzo, tanto più di un thriller (ma sei sicuro di aver letto il libro per intero?? Perché quello che citi non è AFFATTO il finale di Tre secondi!…)

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