Paolo Colagrande, Kammerspiel, Alet

Paolo Colagrande, Kammerspiel
Alet, pp. 274, euro 14.50


Il buon Paolo Colagrande è uno dei rari scrittori che, attraverso la narrazione di fatti minimi, caratteristici della piccola provincia italiana, riesce ad entrare nel piccolo sottogruppo della letteratura di qualità. E’ assodato ormai che pochi si accontentano di narrare, ciascuno vuole esprimere qualcosa. Il problema è che quando non c’è niente da raccontare, l’espressione di qualcosa diventa un artificio stilistico, pesante e noioso. Senza pretendere nulla Casagrande ci racconta la storia di Bisi, giornalista freelance nella provincia piacentina, che ha una moglie, Emilia, un figlio, il bambino Ale e svariati colleghi ed amici a popolare la sua accidentata carriera.
Ciò che domina nella lettura del libro però non è tanto la trama – Bisi deve scrivere perché altrimenti non guadagna e questa sua debolezza, unita a molta ingenuità, lo farà quasi cadere nel baratro della depressione poco prima della nascita della seconda figlia – quanto lo stile. Preso a prestito da Paolo Nori – ringraziato in fondo al libro – che l’aveva preso a prestito dal primo Celati, che l’aveva preso a prestito da Giuseppe Berto, che magari l’aveva preso a sua volta preso a prestito da qualcuno, lo stile è una specie di flusso di coscienza: però con la punteggiatura. In altri termini, Il Bisi ci racconta delle sue difficoltà di intellettuale nella provincia piacentina senza fare parlare le persone, ma raccontandoci direttamente quello che vede, stando bene attento ad esporlo con estrema cura della forma e una ricca messe di citazioni colte/coltissime.
Così l’articolo che Bisi deve scrivere su di una prima del Nabucco, incarico che però gli viene tolto, diventa la scusa per allestire un Kammerspiel, uno spettacolo drammatico concepito per un pubblico limitato e raccolto. Ma non siamo più in epoca di drammi, e così la storia di Bisi e i ragionamenti che fa, spaziando da Hegel a Mina passando per Wagner e Verdi, scivolano via senza fatica, lasciando al lettore il gusto di un divertimento colto che non è artificialmente spocchioso pur essendo necessariamente per pochi.
Forse è questa la natura più intima della cultura: un kammerspiel.

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