Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli

Umberto Galimberti, L’ospite inquietante
Feltrinelli, pp. 178, euro 12

In questo suo ultimo, interessante libro, Umberto Galimberti lascia il ruolo di filosofo e storico delle idee puro, che lo vede autore dei suoi libri migliori, ed utilizza la sua vasta cultura per cercare di portare luce sul fenomeno delle nuove generazioni e la loro difficoltà ad affrontare un mondo completamente diverso da quello dei loro padri, un mondo che forse, per assurdo, è divenuto inadatto ad ospitare i giovani. Il motivo di questo mancato adattamento Galimberti lo ravvisa nella presenza del nichilismo, il movimento di idee affermatosi sul finire del XIX secolo e che ha visto spazzare il campo da ogni possibile avversario nel corso del XX. Nietzsche definiva questo corpus di idee “l’ospite inquietante”. E’ un ospite sgradito ma inevitabile. Sgradito perché mostra la mancanza di senso ultimo per ogni azione umana; inevitabile perché, diceva Nietzsche e ripete Galimberti, solo attraversandolo, capendo che è ovunque e sempre, che è sempre stato così, è possibile superarlo.
I primi capitoli del libro sono dedicati ad illustrare le forme svariate assunte dal nulla ed i vari modi in cui i giovani cercano di affrontarlo, il nihil, che la realtà attuale offre loro. Tutti questi modi si rivelano insoddisfacenti. Il motivo di questa insoddisfazione è filosoficamente evidente. La realtà esiste, per noi, in quanto senso attribuito da un soggetto. Il senso è provocato da una realtà materiale che ora è sopratutto tecnica, non umana. Il senso che ne consegue è puramente funzionale e non escatologico, non rivela cioè alcun fine ultimo; che, del resto, non può esserci, perché l’unico fine della tecnica è la propria prosecuzione, non il proprio compimento.
Ma nemmeno l’uomo può porsi per fine alcun compimento, altrimenti significherebbe attribuire validità a visioni nullificatrici dell’essente, quali le filosofie stoiche e ciniche – che però non avevano alcuna concezione della distinzione tra essere e discorso sull’essere – nonché la nolontà di Schopenauer e, appunto, le varie filosofie anarco-nichiliste sbocciate sul finire del XIX secolo.
La soluzione al nichilismo è l’accettazione del nulla come base su cui costruire. Dato che il reale, l’essere, non sarà mai raggiunto, l’essente deve porsi un essere teorico, ma reale, a cui mirare (Il punto dolente è stabilire cosa definisce la realtà di questo assunto teorico, ma tralascio per motivi di spazio questa spinosissima questione). Il nulla è tale solo se si guarda oltre i confini del soggetto. A questo punto il problema si fa dialettico, in quanto occorre decidere se prima si ponga l’essere o l’essente, se si debba, in altri termini, accettare una posizione realista o relativista.
Porre in questi termini la questione significa però ritornare alle inesauribili discussioni che hanno costellato la storia della filosofia; e che non hanno avuto soluzione. Non mi pare molto utile sostenere che la soluzione si trova sposando uno dei due corni del problema, perché la presenza di due posizioni fa parte del problema. Il nichilismo sorge quando si è supposto un senso che non trova conferma, è cioè una reazione alla sconfitta del realismo. Supporre il mondo come frutto della volontà divina e scoprire che questa volontà pare insensata, ecco l’origine del nichilismo. Accettare il mondo come insensato e piano piano dotarlo di senso, ecco la soluzione al nichilismo.
I passaggi che Galimberti suppone per questa soluzione lasciano il fianco scoperto a qualche critica, in quanto mostrano una leggera preferenza per un’interpretazione relativista del reale. Dire che i giovani e la loro voglia di sperimentare, di lanciarsi verso il nuovo, sono il fondamento della speranza del futuro, sono belle parole che però non conseguono logicamente dai fatti illustrati nei primi capitoli del libro. Da questi fatti si vede l’opposto, cioè una gioventù molto povera, molto in difficoltà con le richieste tecnologiche di un sistema che i giovani li vuole solo come consumatori, non come ideatori di alternative.
“No. La vita non mi ha disilluso. Di anno in anno la trovo sempre più ricca, più desiderabile e più misteriosa – da quel giorno in cui venne da me il grande liberatore, quel pensiero che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza – e non un dovere, non una fatalità, non una fede. (…) La vita come mezzo di conoscenza. Con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma anche gioiosamente vivere e gioiosamente ridere” (Nietzsche, La Gaia Scienza, cit. p. 163). Questa è l’unica soluzione al nichilismo, e non credo sia disponibile ai giovani. E’ una soluzione che richiede esperienza, maturità, consapevolezza di sé, tutte cose che ai giovani mancano: se le avessero, non sarebbero giovani, o sarebbero Nietzsche. Però, proprio l’immaturità, l’inesperienza e l’incoscienza sono le chiavi che permettono una certa libertà rispetto al sistema tecnologico. Pare che Galimberti dica che è meglio provare la libertà che non lasciarsi dirigere da fedi e doveri, anche se la libertà è possibilità d’errore.
Il problema è che gli errori vengono costantemente abbuonati dal sistema, a patto che si rientri ubbidienti tra i ranghi. Per questo le varie spinte innovative che innegabilmente vengono dalla gioventù non riescono a cambiare veramente direzione al sistema. La vittoria, temporanea, sull’ospite inquietante è una vittoria soggettiva e dell’individuo, non di gruppo, perché il nichilismo assume mille fisionomie diverse a seconda dell’ospitante. Un’unica risposta di gruppo, segnalata da Galimberti e che mi pare abbia più possibilità di successo, è quella degli squatter, movimento giovanile estremo che rifiuta qualunque dialogo con il sistema. Il silenzio dunque, come risposta al rumoroso nichilismo di gruppo.
Kafka diceva che la vita è camminare in equilibrio su di un filo sottile teso a pochi centimetri da terra, niente a che vedere con la corda dell’equilibrista nicciano. Continuiamo a camminare, con la luce del desiderio che illumina i pochi metri necessari per ogni passo: ovviamente, in silenzio.

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