David Goodstein, Il mondo in riserva
Università Bocconi Editore, pp. 135, euro 17
traduzione Giovanni Malafarina
La tesi esposta in questo libro è semplice e molto documentata. La nostra civiltà dipende in toto dal petrolio e dai suoi derivati, cioè dipendiamo da combustibili fossili formatisi in ere geologiche lontane, che richiedono tempi lunghissimi per formarsi, oltre a condizioni ambientali particolari: e queste materie prime si stanno rapidamente consumando. Proprio così, consumando, nel senso che non si potranno riformare.
Già negli anni ’70 il club di Roma avanzò ipotesi pessimistiche su quello che era il destino del globo, soprattutto da un punto di vista ambientale. Previsioni, per nostra fortuna, rivelatesi errate. Ora però la situazione è diversa. Siamo vicini al picco di Hubbert.
M. King Hubbert era un geologo che negli anni cinquanta predisse il raggiungimento del massimo delle possibilità estrattive per i giacimenti di petrolio americani. Ricordiamo che in quegli anni si credeva che le maggiori riserve di greggio fossero tutte in America. Una volta raggiunto il picco, argomentava Hubbert, si andrà incontro alla crisi per il naturale incremento di valore che contraddistingue la carenza, anche solo prospettata, di un materiale.
Ma furono scoperti altri giacimenti. Le capacità di perforazione si sono via via perfezionate. A questo punto però, parrebbe che si sia raggiunto il fondo. Non vi è più un incremento costante di pozzi; il rapporto costi/benefici non giustifica una profondità ulteriore, anche ammesso che se ne scoprisse la tecnologia. In sostanza, secondo l’interpretazione dei dati sostenuta in questo libro, tra il 2010 e il 2020 si raggiungerà il picco. Con ogni probabilità arriveremo a quella data impreparati, perché l’impostazione da combustibile fossile del nostro mondo tecnologico non può essere cambiata dall’oggi al domani.
Goodstein chiude il libro analizzando le soluzioni che la tecnologia ci propone. Tutte ottime, ma nessuna, di per sé, in grado di garantire il mantenimento dell’attuale standard di vita. Forse è proprio questo il punto, che Goodstein, da scienziato, non affronta.
L’attuale standard di vita non è né mantenibile né generalizzabile e va quindi abbandonato. Se il passaggio sarà traumatico o tranquillo dipende, con ogni probabilità, da forze al di sopra del singolo cittadino ovvero proprio da quelle forze politiche che “sono riluttanti perfino a riconoscere l’esistenza del problema.” (p. 135)
Un’altra Cassandra, quindi.
Certo, noi non rischiamo di perire nel rogo della città, se non altro perché il petrolio sarà finito.