Recensione: Julian Barnes, Il rumore del tempo, Einaudi

Julian Barnes, Il rumore del tempo

Einaudi, pp.187,  euro 18.50

Traduzione Susanna Basso

 

Vivere da artista, ovvero da intellettuale, nell’Unione sovietica di Stalin, e poi di Crushev, e poi di Breznev; ecco quello che è stata la vita di Dmitri Sostakovich. Il ritratto che dà Julian Barnes è quello di una persona tormentata, costantemente incerta sulla strada da prendere; seguire il suo destino di intellettuale, con tutta la solitudine e il dolore che comporta, o accettare i compromessi che servono a vivere nella vita reale?

Sotto il governo stalinista una tale alternativa non esisteva. Barnes è molto abile a farci capire come il terrore per il futuro proprio e dei propri cari potesse entrare nelle giornate di chi, come Dmitrij Dmitrievic, aveva commesso inemendabili crimini – la produzione di opere formaliste, non destinate al popolo ma ad una ristretta schiera di borghesi! – contro il regime. Un ingresso che nella psiche lascia tracce indelebili. Ma Dmitri aveva, per sua fortuna, la musica. Una musica che doveva uscire grazie e nonostante la sua vita privata; Barnes ce la racconta, quindi, nel dettaglio riuscendo così a fornire un ritratto a tutto tondo, convincente. La musica è lo scopo irrinunciabile di Sostakovich, che, gradualmente, lottando e cedendo al regime, riesce ad affermarla. Accetta sempre più compromessi, sì; diviene forse per questo meno artista, meno intellettuale?

Difficile dare una risposta e, saggiamente, Barnes non si pronuncia. La stessa titubanza caratteriale di Sostakovich è il frutto di questa mancata risposta che, a sua volta, nasce dagli ideali romantici delle gioventù che, chi più chi meno, colpiscono tutti. Il rifiuto di questi ideali può cambiare le persone in modo radicale, spingendole verso un estremo cinismo o un’estrema stupidità. Sostakovich vorrebbe un mondo più regolare, più sensato, più affine alla sua musica. Rifiuta il cinismo e rifiuta la stupidità, ma non è possibile restare fermi mentre la storia scorre. E Sostakovich la sente scorrere, ne sente il suono, la sua musicalità: il rumore del tempo.

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