Recensioni: Yiyun Li, I girovaghi, Einaudi

Yiyun Li, I girovaghi
Einaudi, pp. 396, euro 18
Traduzione Eva Kampmann

 Per iniziare la recensione di questo splendido ritratto di un perodo definito della recente storia della Cina, una frase di Beckett che Deleuze cita in aperture dei Millepiani: “Non viaggiamo per il piacere di viaggiare, che io sappia. Siamo stupidi, ma non fino a questo punto.” I girovaghi del titolo, i coniugi Hua, che alla fine torneranno per le strade, non viaggiano certo per piacere, ma perché è l’unica cosa giusta da fare. Gli anni trascorsi a Fiume Fangoso hanno minacciato le loro anime, occorre che tornino ad essere frecce che attraversano il reticolo del potere statale.

La giovane scrittrice Yiyun Li ci riporta agli anni della rivoluzione culturale in Cina. Tutto si svolge nella città industriale di Fiume Fangoso, nel cuore della Cina. Qui una miriade di protagonisti si presentano al lettore sotto l’impietosa luce d’una povertà difficile persino da immaginare; questa povertà spinge la giovane Shan, figlia dei coniugi Gu, ad abbracciare le tesi controrivoluzionarie. Denunciata dal fidanzato, la giovane viene condannata a morte. E’ il 1979, Mao è morto da poco e il governo teme l’insorgere di pretese democratiche.

La condanna a morte della giovane è solo il tassello necessario a giustificare l’inizio di una protesta che stava già prendendo piede nella capitale; a Pechino erano i giorni del Muro della democrazia, sul quale i cittadini esponevano le proprie lagnanze ai governanti. La storia ha stabilito che a vincere la battaglia tra democratici e apparato statale sarebbe stato quest’ultimo. I cittadini della piccola città, in particolare i genitori di Shan e la giovane Kia, voce della radio ufficiale del partito, non potevano leggere nella sfera di cristallo il destino di quella protesta e quindi decidono di orchestrare una manifestazione per l’ingiusta morte della giovane Shan. A decidere le sorti dei contestatori sarà un bambino di diceci anni, l’inconsapevole Tong, appena giunto dalla campagna e indottrinato nel culto dei doveri verso la patria.

Questo è, come sempre, solo un accenno di questo splendido romanzo che orchestra con notevole abilità i numerosi personaggi per fornirci lo specchio ddesolante della vita quotidiana sotto la rivoluzione culturale. Un piccolo dettaglio che mi ha colpito, è il paralllelismo che corre tra la mancanza di umanità che ho notato in molti di questi personaggi e i protagonisti di un’altra vicenda, ambientata anch’essa sotto un regime dittatoriale, i cui personaggi erano similmente crudi nei confronti degli altri in un modo che lasciava allibiti. Le dittature generano mostri, in tutti i sensi.

Una segnalazione la merita anche la vita di questa scrittrice. La giovane Yiyun Li è stata ragazza ai tempi di Tienn Han Men ed ha visto con i propri occhi la repressione del movimento per la democrazia in Cina; emigrata in America, ha imparato una lingua che non era sua; spinta dalla passione ha frequentato un corso di scrittura e qui, tramite buone prove di composizione, è riuscita a segnalarsi per pubblicare sulle più importanti riviste americane. La sua lingua per la scrittura è l’americano. Nelle sue parole, il cinese è la lingua con cui le cose non si possono dire; figlia di insegnanti colti, la giovane Li poteva parlare solo con le finestre chiuse.

La sua domanda di cittadinanza americana è in attesa di approvazione, perché le autorità chiedono prove del suo valore di scrittrice; oltre all’approvazione scritta ricevuta dal Salman Rusdie, credo che tutti i lettori di questo romanzo non avranno difficoltà a mettere un’eventuale firma su un documento che valga a testimonianza del suo valore letterario.

Perché ricordiamo che anche i girovaghi, ogni tanto, possono aver bisogno di fermarsi.

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