Recensione: Gilles Deleuze – Felix Guattari, Mille Piani, Castelvecchi

Gilles Deleuze – Felix Guattari, Mille Piani
Castelvecchi, pp. 719, Euro 30
Traduzione Giorgio Passerone
Per cercare di capire la tesi del libro, iniziamo a definire il significato specifico delle parole. Rizoma è il concetto centrale dell’analisi che seguirà. Esso – rizoma – esclude però la stessa possibilità d’analisi, in quanto non si presenta in natura puntiforme, localizzabile. Non è dunque un punto, o un oggetto definito, ma una ‘direzione in movimento’, cioè qualcosa che costantemente si trasforma, avendo nella propria dinamica trasformativa la sua ragion d’essere. I Mille Piani sono la distanza che il soggetto deve percorrere per tornare ad essere rizoma, per perdere la natura puntiforme che lo rende vittima del sistema schizofrenico (= capitalistico).
Ma il soggetto, per come l’intendono Deleuze e Guattari, non è il soggetto cartesiano classico, affermato nell’ideologia occidentale. Non è un soggetto autore di azioni e pensieri, tale che è analizzabile in azioni e pensieri, intesi come unità distinte. Questo soggetto non esiste.
Se non esiste il soggetto, cosa esiste? Esistono solo le sue azioni, che sono legate in concatenamenti macchinici. Questi concatenamenti hanno natura libidinale inconscia, ovvero esprimono il desiderio del rizoma incarnato (= bloccato) nel soggetto. L’inconscio, come diceva Lacan, è la somma di questi concatenamenti e porre un soggetto (= Es) all’origine di questi concatenamenti è l’inganno freudiano. Di fatto ci sono solo i concatenamenti. Freud trasforma il rizoma dell’individuo in un soggetto della società che esprime, nel suo malessere, la sua incapacità di annullarsi nella società.
Quando la materia non ha forma giace sul piano di consistenza che è definito Corpo senza Organi. Il contenuto deriva dalle costruzioni effettuate su questo piano di consistenza. L’imposizione della dicotomia forma-contenuto è funzionale al mantenimento del potere, perché la forma individuale è sempre spinta verso un contenuto sovra individuale, che è ovviamente detenuto da chi già vi risiede. Questa è l’organizzazione verticale della società che si riflette nella genealogia della morale.
Soggetto e oggetto non esistono al di fuori della comunicazione, quindi, tutto è comunicazione perché tutto è o soggetto o oggetto.
Si vive separati dal piano di consistenza perché la nostra storia di soggetti si è svolta in assenza di consapevolezza della dinamica che ci asservì. Una volta preso coscienza di questo meccanismo soggettivante (= schizofrenico) occorre volontariamente invertire la direzione di emissione di significati dell’io-penso. Dal puntamento verso l’alto, verso i piani superiori, regno assoluto dell’alienazione e del controllo della macchina del potere, al puntare verso il piano di consistenza, verso il livello zero, verso il corpo senza organi. Non più soggetto tra i soggetti, non più contraddizione tra contenuto e forma, ma assunzione inconsapevole del moto che costituisce la vita.
Per giungere al CsO occorre prudenza. Ma anche caparbietà. E la vista di un senso che è proprio la mancanza di senso. Desoggettivarsi non significa abbandonarsi alle dinamiche esistenti ma scegliere in proprio ed affermare la propria dinamica vitale. Infine, e qui c’è il difficile, confidare nel caso, sia esso benigno o maligno. Affidandosi ad esso, qualunque fatto occorra, torneremo ad appartenere al rizoma. Abbandonare il soggetto significa affidarsi ad una supposta sensatezza del preesistente (= presoggettivo).
Per produrre dei significati dicotomici occorre negare l’esterno, in quanto l’esterno non presuppone dicotomia alcuna. La macchina astratta di viseità è il meccanismo attraverso il quale possiamo comprendere il percorso seguito dalla realtà sociale per abolire progressivamente la stessa possibilità di macchine nomadi o polivocità primitive. Che vi sia un’unica sostanza d’espressione, incarnata dalla viseità, è condizione d’ogni traducibilità. Ma la traducibilità generalizzata porta inevitabilmente all’annullamento del reale, che tutto diventa segno. “La macchina di viseità non è un annesso del significante e del soggetto, vi è piuttosto connessa e risulta condizionante” (p. 275). La significanza dell’espressione visuale non dipende da un soggetto a monte del viso né, tanto meno, da un significante insito all’espressione, ma dall’esistenza di un punto centrale astratto che serve appunto a negare la stessa possibilità d’una significazione indefinita.
Il viaggio, l’idea contemporanea del viaggiare, è il grande inganno della modernità. Non si fugge alla propria segmentazione biunivoca viaggiando. “Su tutti i viaggi pesa l’indimenticabile frase di Beckett: “Non viaggiamo per il piacere di viaggiare, che io sappia. Siamo stupidi, ma non fino a questo punto.” p. 3
Occorre porre il concetto di concatenamento alla base di una nuova e radicale interpretazione della realtà, un’interpretazione che neghi la natura intrinsecamente dicotomica del reale. Non vi è una pulsione di morte opposta a una pulsione di vita, ma un desiderio concatenato a un altro e così via, all’infinito. Il ‘soggetto’ che si lascia trasportare da questo concatenamento muta secondo la funzione della macchina da guerra. L’oggetto di cui si occupa questa macchina produttrice di concatenamenti non è certo la guerra bensì sono quanta di deterritorializzazione, che slegano il ‘soggetto’ dal reticolo del potere. La macchina da guerra ha come scopo unico la trasformazione. Quando la macchina da guerra viene incorporata dallo stato si è nella situazione di stato totalitario in cui la capacità di trasformare si è ridotta alla possibilità di distruggere. Quando invece è la macchina da guerra ad incorporare lo stato siamo nella situazione del fascismo, in cui la conservazione perde ed a vivere è il mutamento distruttivo
Divenire non significa né progredire né regredire secondo una serie. E soprattutto non si operano divenire nell’immaginazione, anche quando l’immaginazione raggiunge il più elevato livello cosmico o dinamico, come in Jung o Bachelard (cfr. pp. 355-356). L’immaginazione crea distinti, dicotomici, stati dell’essere che altro non sono che diverse posizioni del medesimo essere, che si è spostato verso il CsO oppure verso l’alto, rendendosi ancor più dicotomizzato. Il divenire non punta verso altro da sé, che sia l’animale o che sia l’astratto. In questa affermazione è presente il concetto di predestinazione, inframmezzato però dal riconoscimento della forza della ragione. Ove la predestinazione è l’espressione della mancanza di ragione, la scelta consapevole del proprio destino, l’imposizione della ragione al proprio destino è il gesto della libertà. Ogni divenire trasporta il soggetto verso un nuovo luogo che può essere scelto consapevolmente. Il divenire non è causato, non ha nulla del filogeneticamente determinato, ma è il risultato di una scelta, di un’alleanza.
Il CsO sul piano di consistenza è definito dal suo movimento rispetto agli oggetti e dalla forza dei suoi stati affettivi. A questo livello diviene possibile un’individuazione diversa rispetto a quella possibile ai piani superiori, più dicotomici. Si definisce questa individuazione ecceità. L’ecceità definisce un istante o una situazione e non dipende a livello basilare dagli oggetti che la costituiscono. Accettare questa nuova cartografia dell’esistente significa aumentare il grado di libertà possibile cui possono accedere gli individui, sempre che sappiano sganciarsi dalla significazione implicita negli oggetti. Un’ecceità che diviene non è inquadrabile dal sistema di potere.
Riconoscere ad ogni istante una sua irripetibilità, contro l’intento reticolare del potere che vorrebbe ogni istante replicabile per poterlo commercializzare. Ecco il vero intento dell’arte, che cerca di rappresentare la realtà in un modo diverso, non puntuale.
Ma l’arte a chi si rivolge? E’ questo il punto attuale, perché lo spazio è stato completamente quadrettato dal potere; il popolo pure, è stato istruito a rivolgersi solo allo spazio quadrettato, all’informazione che si legge entro questi limiti. L’informazione non è più rivolta al piano di consistenza, ma verso i piano superiori, quelli artificialmente costituiti dal potere e la cui natura, fatta passare per essenziale, confonde le autentiche forze popolari. “I mass media, le grandi organizzazioni del popolo tipo partito o sindacato, sono macchine per riprodurre il vago, che effettivamente disorientano tutte le forze terrestri popolari” (p. 502). L’artista ha ora più che mai bisogno del popolo, ma il popolo non è più raggiungibile perché è stato molecolarizzato. Non essendoci più un gruppo di persone che si possa definire popolo, l’artista popolare deve rivolgersi allo spazio e sperare che il suo lavoro possa divenire strumento di liberazione di singoli, che da punti individuati sulla mappa del potere divengano linee spaziali, vettori di libertà.
Le scienze sono processi creativi tanto quanto quelli artistici. Le scienze girovaghe, empiriche, realizzano soluzioni ai problemi contingenti, locali; ma, per diventare scienze a tutti gli effetti, scienze regali, abbisognano di una potenza di calcolo che trascende le possibilità locali. Le scienze girovaghe sono macchine da guerra che percorrono lo spazio con linea di libertà; la captazione di queste linee da parte della scienza ufficiale fa parte del processo dialettico della storia.
La scienza (sapere) diviene da subito strumento dello Stato (potere). Lo stato si è costituito originariamente in Oriente, nei grandi imperi. In essi si sono realizzate due condizioni che sono state prese dall’occidente senza che questi dovesse pagare lo scotto della loro costituzione. In primo luogo in essi si è realizzato il controllo statale delle disponibilità alimentari, disponibilità che costituiscono stock commerciabili, che vanno costantemente rimpiazzati certo, ma che sono rimpiazzabili perché lo stato orientale ha realizzato la regolamentazione della società. Anche l’occidente ora procede a questi processi, ma senza doverli rielaborare in proprio. In occidente i rapporti di proprietà, in cui il personale era subordinato al sociale (oriente), divengono diritti individuali. I soggetti che si costituiscono emergono da flussi sociali codificati e impongono agli stati la necessità di codificare i loro diritti, che in breve divengono il paradigma dei diritti nella nostra società. E’ questo il paradigma capitalista nel quale i diritti singolari (proprietà) si impongono sui diritti comunitari (umanità). In questa forma di diritto l’essenza umana è ridotta ad un oggetto non qualificato, scambiabile, attorno al quale si costituisce ogni logica commerciale.
La decodificazione delle norme che regolano i rapporti tra gli uomini ha, con il capitalismo avanzato, raggiunto un livello tale che gli stati non sono più in grado di riafferrare questi flussi, decodificati, per fornirli di un quadro di codifica unitario. La ricchezza non è più quindi legata ad un luogo, ma diviene puro capitale, pura possibilità di agire sugli esseri umani in quanto oggetti, non in quanto soggetti possessori di un diritto inalienabile. Il soggetto della storia, il vettore che sposta l’uomo sui piani alti della struttura, diviene il denaro in quanto tale; l’uomo divenuto oggetto (soggetto qualunque) è ridotto a pura forza lavoro. La decodifica dai flussi storici, che in prima battuta è stata fonte di libertà (e che continua ad esserlo per qualcuno) si è trasformata a lungo andare in processo di schiavitù generalizzato: “Il capitale è un diritto o, per essere più precisi, un rapporto di produzione che si manifesta come un diritto, e come tale è indipendente dalla forma concreta che riveste in ogni momento della sua funzione produttiva” (Emmanuel, cit. p. 662).
Il diritto, nell’attuale fase di capitalismo avanzato, ha smesso di essere la surcodificazione dei costumi divenendo invece un’assiomatica del diritto del denaro di disporre liberamente di ogni oggetto, sia esso animato o meno.
Pensate che tutto questo è stato scritto nel 1980 ed era stato preceduto, tra parentesi, dal primo volume di schizoanalisi (questo è il secondo), l’AntiEdipo. Le considerazioni finali che conseguono da questa osservazioni sono semplici. Da un lato la correttezza o meno dell’analisi non ha minimamente influito sui meccanismi economici che regolano la società capitalista nella quale viviamo: si ribadisce la scarsa influenza degli intellettuali sulle cose materiali; dall’altro, l’aderenza al CsO (Corpo senza Organi) che è l’obiettivo ideale, mi pare, come ogni idealità, irrealizzabile. La sua negatività è tuttavia il segno della sua correttezza. All’interno della struttura dei Mille Piani nella quale viviamo siamo liberi di muoverci senza mai raggiungere il CsO. Se lo raggiungessimo, se tornassimo animali, perderemmo la libertà di muoverci, appunto, tra i Mille Piani e, dato che viviamo in una società, saremmo forse ancora più schiavi di coloro che vivono ai Piani alti.
L’obiettivo ideale, astratto, irrealizzabile, lascia aperti però alcuni spiragli su obiettivi particolari e realizzabili all’interno della struttura definita. Non occorre pensare ai destini del mondo – no all’approccio freudiano basato sul senso di colpa – perché è molto più utile pensare al proprio destino inserito nelle condizioni materiali di funzionamento dell’apparato, che può essere completamente diverso da quello del mondo; una volta che il proprio destino è scelto si è liberi.
Per sempre.

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