Sebastiano Vassalli, Le due chiese, Einaudi

Sebastiano Vassalli, Le due chiese

Einaudi, pp. 311, euro 20

Come dice Adorno, l’arte si appresta a scomparire. Il motivo di questa triste previsione – triste per chi è appassionato d’arte e, credetemi, non siamo in molti – è tutto nella dinamica sociale che rende l’arte producibile quanto qualunque altro oggetto. La quasi completa visibilità dei meccanismi che concorrono alla creazione dell’oggetto artistico fa si che essi siano replicabili a piacere su qualsivoglia prodotto, rendendolo immediatamente quasi-artistico. L’onnipresenza di questi oggetti quasi artistici rende difficile la percezione dell’arte. In effetti l’arte è quasi-condannata.

Possiamo infatti dissentire dal filosofo tedesco per il semplice motivo che continuiamo a trovare esempi d’arte, in una percentuale sostanzialmente invariata rispetto al passato. Diciamo allora che a livello generale l’arte scomparirà pur senza scomparire per quei fortunati che vorranno continuare a cercarla. L’arte scomparirà come fatto sociale ma potrà sopravvivere come fatto individuale.

Per scorgere l’arte, per trovare l’intento artistico di questo romanzo, al lettore è richiesto uno sforzo. Apparentemente la storia è la piatta e minuziosa cronaca della vita di un piccolo paese, Rocca di Sasso, alle pendici di una grande ed imprecisata montagna delle alpi. A Rocca di Sasso arriva il maestro Prandini, orfano di un ufficiale dei carabinieri ucciso, forse, da un anarchico: siamo a fine ‘800. Il maestro Prandini è il primo personaggio di una lunga schiera di abitanti delle pendici dei monti che saranno coinvolti nelle vicende che si svolgono sotto la mole del Macigno Bianco, il soprannome che Vassalli dà alla montagna. Le vicende in cui questi personaggi sono a vario titolo chiamati a partecipare sono le normali tribolazione del popolo italiano. Non vi è nulla di strano nel politico che piazza il figlio stupido dietro una poltrona; Prandini, che da socialista della prima ora diventerà fascista, mette il figlio a fare il podestà della cittadina. Nemmeno strano che Orio, uno dei  due fratelli operai del municipio, seppellisca Servano, l’altro operaio, senza dire niente a nessuno, perché loro, i fratelli, non credono a niente  e non vogliono spendere soldi. Per fortuna, siamo ancora lontani dalla televisione inchiesta e Orio dovrà fare solo una settimana di prigione, in attesa che l’autopsia lo scagioni. C’è anche una storia d’amore che finisce bene, alcune che invece vanno male, un omicidio e varie bassezze umane; ci sono anche i preti pedofili.

La struttura narrativa e l’intento dell’autore sono completamente visibili ma, anche, tanto visibili da risultare incredibili. Possibile che Vassalli abbia voluto solo farci vedere come siamo? O, ancora peggio, possibile che abbia voluto mostrarci quanto siamo prevedibili e noiosi?

Attraverso lo specchio impietoso della condizione degli italiani possiamo riconoscerci. Oltre un secolo di storia, sulle note immaginate dell’Internazionale espressamente citate nella prefazione. La costruzione di due chiese agli estremi della via centrale del paese esprime gli intenti e le speranze di una generazione; la distruzione delle due chiese per far posto ad un parcheggio esprime la fine di queste speranze. Con la sua scrittura impeccabile, che riesce a rendere una storia normale come questa interessante, Vassalli torna a parlarci del passato che illustra l’assenza di un futuro praticabile nella realtà. Al massimo, dice, possiamo serbare una speranza sotto questa grande montagna, la speranza dell’Internazionale: “Domani l’internazionale sarà il genere umano.”

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