Saul Bellow, Il dono di Humboldt, Mondadori

Saul Bellow, Il dono di Humboldt
Mondatori, pp. 601, euro 10
Traduzione Pier Francesco Paolini

Charlie Citrine è uno scrittore che gode apparentemente di buona sorte. Cresciuto sotto l’ala protettiva di Von Humboldt Fleisher, poeta americano noto e affermato, sfonda con una commedia che raccoglie successi nei teatri di mezzo mondo. Dopo due mogli sta vivendo una seconda giovinezza con la bella e formosa Renata, giovane ed esuberante donna affascinata dall’intellettuale. Ma nere nubi si stagliano all’orizzonte. L’ispirazione scarseggia un po’ e quindi il reddito ne risente; a ciò si aggiunga che la seconda moglie, per mantenere le figlie, sta cercando di ridurlo sul lastrico accampando diritti sui suoi proventi letterari. Per giungere a comprendere fino in fondo l’effettiva situazione del povero Charlie dobbiamo però percorrere tutto il suo percorso formativo all’ombra di Humboldt. Ed è un percorso affascinante e seducente, quello che percorriamo nelle oltre cinquecento pagine dedicate a questo; è il percorso di un intellettuale che si deve confrontare con la stessa possibilità di essere onesto in quello che il mercato ha ridotto essere la cultura.
Citrine è però un vero intellettuale che aggirando gli ostacoli di Scilla e Cariddi, bellezza e denaro, giunge ad una maggiore consapevolezza di sé attraverso quello che è l’inatteso dono di Humboldt.
Questo è solo un breve accenno al romanzo – a mio pare la sua opera migliore – che valse a Bellow il premio Pulitzer del 1974, cui seguì l’anno dopo il Nobel. E’ un romanzo soprattutto interiore e quindi difficilmente riassumibile; ma non è un romanzo interiore nel deteriore senso che questa parola ha assunto oggi, non è cioè un romanzo in cui il protagonista se ne sta immobile a guardarsi l’ombelico. I fatti esteriori sono essenziali e giustificano lo svolgimento della vicenda. Sia Scilla sia Cariddi Citrine le supera perché costretto: Renata lo molla e i soldi finiscono. Eppure, quando, grazie al dono inatteso il tutto potrebbe essere recuperato, Citrine riesce a mantenersi ad un livello di dignità superiore.
La storia è evidentemente moraleggiante, ma non in maniera manichea, ché il protagonista riesce alla fine a riconoscere il fatto che la vita è tutta intessuta di grigio e che lo scopo dell’uomo è proprio, per quanto possibile, cercare di evitare questo grigio, senza nessuna certezza del risultato. E’ sia un romanzo della maturità, perché mostra la fondamentale vanità del tutto, sia un romanzo di formazione, perché mostra che se non ci si scagliasse, da giovani, contro questa vanità tutto resterebbe per sempre grigio.
E nessun dono potrebbe mai illuminarci.

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