Ivan Illich, Nemesi Medica, Bruno Mondadori

Ivan Illich, Nemesi Medica
Bruno Mondadori, euro 20, pp. 314
traduzione Donato Barbone

Per molto tempo Ivan Illich è stato assente negli scaffali delle librerie. Come ogni pensatore che si rispetti, ha attirato su di sé le ire dei potenti, per le cose che ha avuto il coraggio di dire sulla società che i potenti hanno creato. Nessuna meraviglia quindi che i suoi libri fossero di difficile reperibilità. Ora Bruno Mondadori ha iniziato una meritevole riproposta delle sue opere. Iniziamo a vedere in che senso la medicina s’è vendicata, aspettando la riproposta del modo in cui la società potrà fare a meno di scuole e maestri.
Con un lavoro di ricostruzione storica molto puntuale, Illich ripercorre la strada che ha portato l’umanità da un punto di partenza in cui la malattia era vista come un accidente che poteva capitare a chiunque, e come tale andava trattata, ad un punto di arrivo, momentaneo, in cui la malattia è vista come un incidente occorso ad un macchinario e che come tale va trattato.
Gli effetti principali di questa trasposizione sono due. In primo luogo il malato viene espropriato del proprio corpo, della cura del proprio corpo. Non è più una parte di sé di cui si è responsabili, che va accudita, ma diventa un supporto materiale al nostro ruolo di attori sociali. Che è poi il ruolo dei consumatori.
Secondariamente il medico ha perso la sua identità presso il paziente. Ora egli non è più una persona che cura, ma è un addetto che impartisce un trattamento. Nella storia dell’arte medica non si è mai avuto un periodo nel quale il valore sociale del tecnico del corpo fosse così alto. Questo fatto è chiaramente da ricondurre alla riduzione della socialità ai meri parametri quantitativi. Dato che il medico si suppone abbia gli strumenti per capire quanto, matematicamente, manchi al corpo per essere perfettamente funzionante, egli è il depositario del segreto della felicità. Ricordiamoci che viviamo in un mondo in cui la massima funzionalità perenne è l’obiettivo implicito d’ogni pratica sociale.
Le difficoltà che ci possono essere nell’accettare – non nel capire, perché il suo discorso è chiarissimo – il punto di vista di Illich sono legate al fatto che noi viviamo in una società che ci ha abituati a non sopportare il dolore. L’eliminazione del dolore e della morte, come estrema reificazione del dolore, dall’orizzonte di vita ideale dell’uomo rientrano negli scopi della società dello spettacolo – quella in cui viviamo – in cui anche il trapianto di organi ad un bambino di pochi mesi fa parte dello show.
Solo che la sua morte si svolge dietro le quinte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *