Pier Aldo Rovatti, La filosofia può curare?, Cortina

Pier Aldo Rovatti, La filosofia può curare?
Cortina, pp. 99, euro 9

Prima di rispondere alla domanda del titolo, credo sia opportuno distinguere i due significati che il verbo curare può assumere in italiano.
In una primo senso curare significa “occuparsi di qualcosa o di qualcuno con assiduità, premura, interessamento, competenza”. In una seconda accezione abbiamo invece “sottoporre un malato alle cure mediche necessarie per guarirlo”. Mi sembra chiaro che è al primo significato che si riferisce il titolo; in nessun caso il secondo significato può essere assunto come norma pragmatica della consulenza filosofica, perché questo la farebbe slittare nel campo della psicoterapia.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quanto la psicoterapia possa svolgere le funzioni del secondo significato. La questione è spinosa e, per proseguire il discorso, assumiamo che ciò sia possibile e lecito solo per le patologie più gravi. Allora abbiamo lo slittamento della consulenza filosofica nel campo della psicoterapia, il primo significato, con tutti i rischi connessi ad una formazione meno approfondita. Cominciamo con il valutare quanto un filosofo possa occuparsi di qualcuno con lo scopo di migliorare il suo essere nel mondo.
Iniziamo con l’avanzare dei dubbi sull’utilità della figura di Socrate come modello per il filosofo. Socrate non va, non conduce alla ricerca della verità del soggetto. Socrate possiede già la verità, la verità iperurania, e conduce il soggetto a riconoscervisi. Però in questo cammino il soggetto perde se stesso, si riconosce in un altro che è fuori di sé in toto. Nel conosci te stesso di Socrate non vi è soggettivazione, ma riconoscimento ed accettazione delle regole che altri pongono. Il so di non sapere, se in teoria è un buon presupposto, in pratica non è altro che un artificio retorico che Socrate usa per condurre alla ragione (la sua) l’interlocutore. Occorre per prendersi cura di sé avere il coraggio di una pratica che, ove necessario, rifiuti le regole imposte dall’esterno.
Rovatti chiama allora in causa Foucault che ci dice che “la filosofia è una particolare cura, è un prendersi cura di se stessi che implica il prendersi cura degli altri. E’ una pratica di pensiero ma, appunto, è essenzialmente una pratica, un esercizio da applicare costantemente alla propria esistenza. Come tale è un governo, un modo di governare se stessi. E’ una politica della soggettività.” (p. 64).
La soggettività quindi può richiedere il rifiuto delle regole, ma un rifiuto che non sia una pratica nichilista. Deve essere, appunto, una cura di se stessi e degli altri. La ricerca della libertà, che non è solo per sé, è una condotta etica ed estetica. Per seguire questo percorso il soggetto deve accorgersi, rendersi conto, che prima di domande sulla natura della filosofia, occorre porsi domande sulla natura repressiva del sistema in cui la filosofia nasce e si sviluppa.
Le facoltà universitarie dove si insegna la filosofia rischiano di indurre nello studente, nel soggetto dello studente, delle regole di autocontrollo che hanno una funzione pacificatrice rispetto all’esistente. Lo studio della filosofia all’interno delle università può allontanare il soggetto dallo sviluppo di quella funzione critica che è un po’ la nota che definisce la filosofia.
Rovatti si pone delle domande per capire il proliferare delle facoltà ad indirizzo para filosofico.
Per questo occorre capire il ruolo che il potenziale filosofo assume nella società attuale, che chiede sempre più una gestione professionale dei conflitti. E’ la società psy, ove l’abbandono delle norme inviolabili esterne al soggetto ha fatto emergere la conflittualità tra i soggetti. Lo sviluppo delle pratiche di counseling è una delle direzioni possibili in cui può indirizzarsi il neolaureato (una delle poche in effetti, visto che l’insegnamento non viene concepito come sbocco possibile dagli stessi studenti). Il counseling però, se è concepito come ottimizzazione delle capacità relazionali in vista dell’ottimizzazione delle capacità produttive, non ha niente a che vedere con la filosofia. In questo processo vengono posti in primo piani i bisogni dell’azienda (l’oggetto) a scapito di quelli della persona (il soggetto). Il consulente filosofico in effetti non può mettersi a criticare dall’interno le pratiche inumane della produzione. In questo senso è proprio socratico: beve la cicuta e va a morire, ubbidendo alle regole.
In conclusione la filosofia può curare solo se permette al soggetto di emergere, di sviluppare una politica individuale dei bisogni. Questo risultato può essere ottenuto solo con una pratica continua, che non garantisce in nessun caso il successo, che è sempre passibile di cadute e sconfitte. Per assurdo, il consulente filosofico che volesse curare non potrebbe farlo senza far passare il soggetto per una crisi, una crisi che può anche essere destinata a non risolversi. E questo va contro quella cultura terapeutica che è il marchio della società attuale. La società psy non accetta crisi e incertezza, vuole sicurezze e ragionevolezza. Le conseguenze di queste richieste sono una sempre maggiore insicurezza/paura da cui segue un comportamento irragionevole.
Non so se la filosofia può curare. So di certo che non può guarire.

One thought on “Pier Aldo Rovatti, La filosofia può curare?, Cortina

  1. Questo malloppo, per buona parte assai criticabile, soprattutto per le inesatte informazioni su Socrate, dove chi scrive ha preso degli abbagli piuttosto pesanti?
    Chi ha scritto l’articolo non è ben informato filosoficamente e dice castronerie belle e buone. Questo errore di fondo compromette l’attendibilità di tutta la sua critica, che poi, peraltro, diventa molto verbosa, accademica e asfissiante….

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *