Ivan Illich, Elogio della bicicletta, Bollati

Ivan Illich, Elogio della bicicletta
Bollai Boringhieri, pp. 95, euro 7
traduzione Ettore Capriolo
titolo originale Energie, Vitesse et justice sociale

La premessa necessaria al commento di questo saggio è che la sua scrittura risale al 1973. Se Illich fosse vivo, non è nemmeno possibile immaginare i suoi commenti alle condizioni disastrose cui l’asservimento dell’uomo all’automobile ha condotto la società.
Il suo ragionamento è semplice. L’aumento della velocità disponibile all’uomo ha creato delle distanze che prima non esistevano. Fino al ‘700 era impensabile percorrere centinaia di chilometri in poche ore. Per andare da Parigi a Tolosa ci si impiegavano, al tempo dei romani, circa 200 ore; nel 1740 il tempo era di 158 ore. Con l’avvento di strade più percorribili e la costruzione di mezzi adatte a percorrerle, il tempo scese a 110 ore. Con l’arrivo della ferrovia questi tempi vennero notevolmente abbattuti, per passare con l’avvento della macchina automotrice a poche ore.
Questo è però vero in un mondo ideale avulso dal contesto effettivo. E’ chiaro che per andare da Bergamo a Milano dovrei metterci non più di mezz’ora. E’ altresì evidente che se sto sotto l’ora e mezza per arrivare a Sesto mi ritengo fortunato.
Il problema non è nemmeno legato al fatto che tutti si muovono. Illich sostiene che sopra una certa soglia la velocità arbitrariamente e singolarmente incrementabile produce rallentamenti e costi globali. Ma, ciò che più conta, questo incremento fa perdere di vista la dimensione umana del movimento.
Distinguiamo nel traffico due componenti: il transito, che è il movimento individuale che sposta l’uomo da posto a posto e che fa uso di energia metabolica; c’è poi il trasporto, che è il movimento industriale che sposta le merci e che fa uso di energia ‘catabolica’, nel senso che costa nei termini di energia dispersa e rifiuti prodotti. Il percorso storico dell’occidente industrializzato ha fatto perdere di vista la stessa idea che sia possibile una società che ponga in secondo piano il trasporto rispetto al transito.
Qui c’è la proposta di una società diversa dall’attuale, una società ove l’uso della ragione sia sempre preferito rispetto alla ragionevolezza economica. In questa società dovrebbe esserci la condivisione dell’idea di un limite invalicabile di velocità: “Al di sotto d’una certo livello di velocità, i veicoli a motore possono integrare o migliorare il traffico permettendo di fare cose che non sarebbero possibili a piedi o in bicicletta” (pp. 61-62).
Siamo nella situazione già più volte evidenziata. Quando un anarchico si mette a fare un ragionamento politico ciò che dice diventa palesemente irreale. Tornando all’autostrada all’ingresso di Bergamo c’è il cartello che preannuncia l’ormai mitica quarta corsia. E questo annuncio mi sembra l’inveramento di una frase che troviamo a pagina 28 del libro di Illich: “Il passeggero abituale è il più esasperato di tutti dalla crescente ineguaglianza, dalla penuria di tempo e dall’impotenza personale, ma non vede altra via d’uscita da questo pasticcio che non sia chiedere una dose maggiore della medesima droga: cioè più traffico con mezzi di trasporto.”
Le cose che ci dice Illich sono simili a quelle che più di vent’anni dopo ci dirà Bauman. Il passeggero abituale dispone di un modello, che è quello fornito dalla classe dirigente transnazionale (politici, funzionari, gente dello spettacolo e riccono assortiti), al quale lui non può giungere ma che, essendo ormai l’unico disponibile viene ansiosamente e rabbiosamente rincorso. Se Illich può fornire i mezzi per pensare in proprio un modello alternativo, la condivisione del modello (momento politico) richiede individui con strutture mentali simili – che vedano cioè la realtà per quello che è – che né l’ansia né la rabbia permettono di sviluppare.
La macchina ha ormai un funzionamento che impone le sue regole all’uomo e nulla di quello che si può fare collettivamente, restando sulla valutazione economica, può cambiarne il senso di marcia. Nemmeno il fantomatico uso intelligente delle risorse è una soluzione, perchè comunque subordinato all’incremento della velocità; e, come già detto, oltre una certa soglia di velocità disponibile aumenta la forbice della disuguaglianza sociale. Solo una valutazione politica che prescinda dal valore economico delle scelte ma si accentri sul significato sociale delle conseguenze, potrebbe avere successo (è comunque una scelta a rischio).
Chiudo, rinnovando l’invito all’uso critico della ragione, con la frase di Illich riportata sulla copertina del libro: “La bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un’auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un’unica vettura. Per portare quarantamila persone al di là di un ponte in un’ora, ci vogliono dodici corsie se si ricorre alle automobili e solo due se le quarantamila persone vanno pedalando in bicicletta.”
Penserò a questa frase, la prossima volta in coda sulla tangenziale est, con i soliti, dannatissimi libri.

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