Arto Paasilinna, Prigionieri del paradiso, Iperborea

Arto Paasilinna, Prigionieri del paradiso
Iperborea, pp. 199. euro 15
Traduzione Marcello Ganassini
 
Se Robinson Crusoe fosse arrivato sulla sua isoletta con altri 50 naufraghi, cosa avrebbe fatto? Ce lo racconta un giornalista che, a bordo di un aereo che porta una cinquantina di tecnici delle Nazioni Unite verso una missione umanitaria, si vede costretto all’ammaraggio nei pressi di una piccola isola della Melanesia. I nostri, in breve, riescono ad organizzare una vita sociale, con turni di lavoro, ripari al coperto, occasioni di socialità e quant’altro la vita civile pare richiedere. Soccorsi, è ovvio, da una natura particolarmente benigna i superstiti paiono avere riconquistato un paradiso perduto. Quando giunge al termine il progetto per farsi recuperare dal mondo civile – sono passati mesi dall’arrivo sull’isola, l’aereo era completamente fuori rotta – si levano delle voci contrarie; una minoranza – 21 contro 28 – non vuole acc endere l’SOS di legno alto 500 metri che si spera venga visto dai satelliti. Ma, contrariamente a quanto si potrebbe supporre, in un piccolo gruppo la democrazia funziona e la parte minoritaria accetta i risultati.
La minoranza verrà salvata o la maggioranza dovrà disporsi ad un paradiso controvoglia?
Il narratore si presenta, all’inizio del libro, come una persona normale, anzi addirittura mediocre; e lo stile della narrazione è tale, senza scosse, mediocre, puramente giornalistico eppure, proprio per questa essenzialità, molto interessante. La vita degli uomini ricondotta agli elementi essenziali, senza orpelli ideologici, offre a noi lettori, uomini moderni pieni di orpelli ideologici ed immersi in una vita piena di elementi inessenziali, lo spunto per alcune riflessioni sulla natura del paradiso e sull’esserne prigionieri.
 

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