Donald Sassoon, La cultura degli europei, Rizzoli

Donald Sassoon,
La cultura degli europei
Rizzoli,
 pp. 1364, euro 45
Traduzione Chiara Beria, Monica Bottini, Elisa Faravelli, Natalia Stabilini  
 

Questo libro non è un trattato teorico sulla natura della cultura europea; è piuttosto un inventario, un bestiario quasi, che elencando in maniera puntigliosa, anche se spesso capziosa perché vuole confermare la sua idea preconcetta, le forme con cui la cultura, intesa come bene condiviso, si è andata affermando negli ultimi due secoli, giunge a mostrare un quadro d’insieme che potrebbe anche avere un senso; ma anche no, in effetti, perché Sassoon rifiuta il ruolo elitario dell’intellettuale che proclama la maggior bontà della sua conoscenza rispetto a quella degli altri. Per questo studioso ciò che conta è la capacità di ogni intellettuale, in senso ampio, di rendere appetibile al pubblico il suo prodotto: “In questo contesto il dibattito sui rispettivi meriti della cultura alta e della cultura bassa dovrebbe essere visto come un esercizio di marketing” (p. 15). I vari personaggi, noti e meno noti, della storia della cultura europea che Sasson ci presenta si distinguono tutti per una supposta avidità di denaro, una supposta elevata considerazione del proprio lavoro ed una evidente doppiezza verso il mercato; da un lato, indispensabile (ma esecrabile) strumento della propria indipendenza, dall’altro luogo di tutti gli abomini che la vile materia chiede all’intellettuale di compiere. Quindi tutti gli artefici della cultura, prima scrittori ma poi anche e soprattutto attori, cantanti videomaker e pop star lavorano in maniera industriale alla produzione di oggetti intellettuali che possano catturare il favore del pubblico, non sono altro che abili venditori di sé. Nessuna particolare rilevanza viene accordata alla difficilmente definibile ‘qualità’. L’ottica adottata in questo libro mi pare estremamente limitata. Succede, questo è vero, che dalla sommatoria di dati presentati sembri emergere un senso; ma è solo un’impressione, ché senso non è rintracciabile nei lavori culturali, se dobbiamo prendere per buone le parole che Sassoon usa per descrivere uno dei pochi libri che l’Italia abbia prodotto negli ultimi due secoli e che abbia lasciato traccia visibile di sé nel mondo: Pinocchio: “E’ impossibile stabilire che cosa abbia decretato il successo della storia scritta da Collodi” (p. 689). Mi pare chiaro che un’affermazione del genere equivalga ad una resa in linea di principio a quelle che sono le forze economiche del mercato, che magari riescono ad imporre la vendita di un libro senza che però questo libro entri a far parte del cosiddetto canone letterario; “La definizione di un canone fa parte della lotta tra gli intellettuali e altre elite per la definizione di una gerarchia di valori culturali. (…) Così, sebbene ricorrerò spesso alla distinzione tra cultura alta e cultura bassa la considererò perlopiù una questione di pubblico e mercati” (p. 16). Rinunciare alla ricerca di un criterio che consenta di discriminare tra cultura alta e cultura bassa non rientra, a mio parere, negli intenti dei grandi autori siano essi di musica, di libri, di cinema o quant’altro; la validità di questa considerazione non deve far dimenticare, è vero, che costoro sono anche umani, in carne ed ossa, ed in quanto tali soggetti alle debolezze che il mercato fatalmente induce; ce ne sono che hanno ceduto di più, ce ne sono che hanno ceduto di meno. Questo non deve però inficiare il giudizio dell’opera, che deve essere il più scevro possibile da considerazioni personali sulla vita dell’autore. Anche se l’autore vuole piazzare se stesso in evidenza, è lecito/doveroso presupporre che nel prodotto artistico l’intento sia quello di raggiungere l’Arte. C’è poi anche la questione dell’industria culturale, macchina quanto mai attiva e in grado di influenzare pesantemente le libere scelte dei consumatori; se un critico si limita però a registrare gli effetti di questa macchina, mi pare rinunci proprio alla possibilità di essere critico. Potrà fregiarsi al più del titolo di numeratore. Quindi come numeratore della storia culturale Sassoon verrà trattato di seguito. Il librone in questione è, in definitiva, un’enorme Novella Duemila per curiosi, piena di gossip che chi non ha il tempo di leggere tutti i libri che Sassoon ha letto – la sola bibliografia occupa quasi 100 pagine – potrà trovare divertente leggere. Per concludere un breve elenco di fatti che, magari, possono essere presi a indice dello sviluppo della cultura nel nostro continente; ma anche no a mano il mercato non si dichiari d’accordo. – Balzac (…) sul piano commerciale fu un fallimento: restò povero tutta la vita e morì oberato di debiti (p. 85); – Il mito di Ossian (Scozia) è apocrifo, benché un largo numero di intellettuali dell’epoca – Alfieri e Goethe tra tutti – lo presero per vero e lo indicarono a modello della nuova forza della cultura popolare, cfr. pp. 99-101; – La Chanson de Roland può essere considerata apocrifa, visto che fu ‘ritrovata’ nel 1832; le fonti storiche attribuiscono pochissimo rilievo alla figura di Orlando, cfr, p. 108; – La versione in cui la Bella Addormentata si sveglia e scopre di essere stata messa incinta, durante il sonno profondo, dal Principe Azzurro, fu adeguatamente modificata; (…) la fiaba divenne un genere per bambini solo in base a ciò che i genitori consideravano appropriato per i loro figli (p. 118); – Il fatto che il direttore conducesse con l’orchestra alle sue spalle rappresentava la norma per gran parte del XIX secolo in quasi tutti i teatri dell’opera (p. 506); – La storia della cultura è come il maiale, non si butta via niente. Nel 1910 Hermann Lons pubblicò in Germania Werhwolf: cronaca contadina della guerra dei trent’anni, cfr p. 603; – Essendo divenuti dei personaggi pubblici, gli scrittori iniziarono anche a promuovere alcuni prodotti a fronte di un compenso di denaro. Oscar Wilde raccomandava la crema Madame Fontaine’s Bosom Beautifier: “Svilupperà e renderà più bello il vostro petto, come è certo che domani il sole sorgerà (p. 621); – L’indipendenza di Zola divenne ancor più palese quando decise di rinunciare alla sua rubrica sul Voltaire, a cui era politicamente affine, e di scrivere invece per Le Figaro, giornale di destra e monarchico che tuttavia l’avrebbe pagato molto meglio (p. 655) – Felix Salten, l’autore di Bambi (1928), scrisse il suo primo libro nel 1906; in esso parlava in maniera pornografica dell’educazione sessuale di una prostituta bambina (p. 691, p. 828); – Uno dei primi fumetti con le parole nella nuvole viene dall’America (strip, che erano graficamente più agevoli della bande dessinee prettamente europea) si intitolava Hogan’s Alley (1895). Il protagonista era un ragazzino con le orecchie a sventola, completamente calvo e dai tratti vagamente orientali, cfr. p. 712; – la gommalacca per i dischi venne sostituita durante la seconda guerra mondiale con il vinile per il venire meno della materia prima proveniente dall’oriente, cfr. p. 765; – Stanislavsky si macchiò negli anni post rivoluzionari dell’allontanamento di un rivale, Mejerhol’d, dai teatri ufficiali russi; Mejerhol’d fu fucilato nel ’40; – In inglese il titolo di Dieci piccoli indiani è Ten Little Niggers, cfr. p. 901; – Il film Le bianche scogliere di Dover fu realizzato in gran parte a Malibù, perché le scogliere di quel posto erano più “inglesi” di quelle di Dover. Questo per sottolineare il ruolo dei preconcetti nel promuovere un’idea, vera o meno che sia, cfr. p. 937; – Il Sam che suona al piano As tims goes by nel finale di Casablanca era in realtà un batterista; nel film, americano per antonomasia, compare un solo attore americano eccellente, Humprey Bogart. Tra i candidati al ruolo prima di Bogart era stato valutato anche il futuro presidente degli stati uniti Ronald Reagan, cfr. pp.958-959; – Gide respinse il primo volume della ricerche proposto da Proust alla Gallimard, cfr. p. 1005: – In Cina i libri gialli sono romanzi erotici, cfr, p. 1011; – A proposito della tanto criticata politica dei regali annessi a giornali e riviste: un primo esempio di gadget allegato al giornale l’abbiamo con l’inglese Daily Herald nel 1933, cfr. p. 1034; – La nota battuta iniziale che segna il primo incontro di Tarzan con Jane – Io Tarzan tu Jane – non sono autentiche, cfr. p. 1054; – L’immagine sui dischi dell’etichetta La voce del padrone è il logo che la Rca acquisì nel ’29 quando comprò una piccola fabbrica che produceva grammofoni, cfr. p. 1085; – In Italia la percentuale di evasori del canone raggiunge il 19.4% (dati 1996), cfr. pp. 1184-1185; – L’autore più tradotto al mondo è Agata Christie; Umberto Eco è il nostro più tradotto, cfr p. 1269 Da questo mio bestiario in minore vorrei emergesse l’apparente casualità del percorso della cultura. A differenza di Sassoon però credo che questa casualità non sia nell’arte in sé – se l’arte fosse casuale allora sarebbe tutto solo una questione di marketing – quanto nell’oggetto sociale che l’arte deve rispecchiare per essere compresa; per restare, per entrare nel canone, l’arte non deve limitarsi a questo rispecchiamento, deve effettuare anche una riflessione che consenta di trascendere l’oggetto immediato – sociale – per cogliere l’oggetto puro. Compito arduo, invero, cui pochi giungono felicemente, come Sassoon ci mostra con tanta perizia e pazienza nel suo enciclopedico dono alla cultura europea.

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