Hans Fallada, E adesso pover’uomo?, Sellerio

Hans Fallada, E adesso pover’uomo?

Sellerio, pp. 561, euro 15

Traduzione Mario Rubino

 

Immagino che la maggior parte di voi creda, con tutti i libri e i film sui nazisti che avete letto/visto, che vivere nella Germania degli anni ’30 non fosse particolarmente piacevole. Le disavventure del pover’uomo del romanzo, il signor Johannes Pinneberg, confermano questa idea, anche se non per i motivi che credete. Non c’è infatti quasi accenno all’antisemitismo, non c’è un pestaggio che uno in tutto il romanzo, solo la notizia lontana di una spedizione di nazisti, all’epoca ancora minoritari, contro un quartiere di comunisti. No, i motivi per cui non era bello vivere in Germania non erano storici, erano i normali motivi per cui non si sta bene in un paese: mancanza di soldi.

Il giovane Pinneberg vive in un piccolo paese, Ducherow. Le sua fidanzata si chiama Lammchen, pecorella, e vive in un paese lontano, per cui si possono vedere solo una volta ogni due settimane. Ma all’inizio del romanzo i nostri sono alla soglia di un ginecologo, l’esame che ne segue è positivo, e così il giovane Johannes chiede alla sua pecorella di sposarlo.

Questi sono i presupposti. Seguiremo i nostri sposini da Ducherow a Berlino e qui li accompagneremo attraverso tutte le difficoltà che un lavoro incerto pone ad una coppia di giovani sposi, con prole in arrivo per di più. Le difficoltà sono legate all’insufficienza dello stipendio, alle sollecitazioni superflue cui l’ambiente sottopone i due inconsapevoli, alle consuete difficoltà di relazione con colleghi e vicini. In tutto questo vi sono comunque accenni, per noi chiarissimi, di quello che si stava movendo in Germania. La conclusione, agghiacciante, a cui noi possiamo arrivare, è che proprio da gente così, da persone che oscillano tra un’adesione al comunismo nascente ed un rifugio nel privato privo di impegno, sono nati quegli inconsapevoli carnefici di Hitler che la storia ha condannato.

Sono essi innocenti, vittime delle circostanze, oppure sono colpevoli, responsabili di non aver saputo dire di no all’orrore? Il nostro Fallada la domanda non se la pone – come avrebbe potuto del resto, il romanzo è del ’32 – limitandosi a descrivere una realtà oggettiva secondo i canoni del neo-realismo documentarista, il movimento in cui viene fatto rientrare nella nota finale del bravo Mario Rubino. Lo stile è in verità semplice, al limite dell’elementare, lo svolgimento è lineare e coronato dal lieto fine, i personaggi che lo costellano sono costruiti per la loro funzionalità ai due protagonisti, ma nel complesso è un lavoro perfetto per rendere l’idea dell’impotenza del singolo di fronte alle logiche disumane dell’apparato, tanto che l’unico pestaggio vero lo subirà Pinneberg alla fine del romanzo.

Il lavoro del traduttore/curatore è eccellente, visto che riunisce alle sue note due interventi di eminenti intellettuali che hanno commentato il libro (Beniamino Placido e Ralph Darhendorf), ma credo che sia buona abitudine non leggere mai prefazioni o postfazioni allegate a saggi e/o romanzi prima d’aver letto il libro. Come diceva Nietzsche, meglio esser pazzi per conto proprio che saggi a metà con l’aiuto d’altri. Quindi consiglio caldamente la lettura di queste scorrevolissime cinque centinaia e passa di pagine a prescindere da qualunque giudizio culturale sul libro medesimo, per poter guardare come in presa diretta al meccanismo che ha portato ad altri due personaggi di Fallada, gli indimenticabili protagonisti di Ognuno muore solo che, essi sì, si sono posti la domanda retorica del titolo di questo libro ma ne hanno anche tratto l’unica conseguenza legittima.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *