Iona heath, Contro il mercato della salute
Bollati Boringhieri, pp. 110, euro 11
Traduzione Maria Nadotti
Diciamo subito che questo libricino è nato da osservazioni che l’autrice, dottore in Inghilterra, ha condotto nella sua pratica decennale; e, come ogni buon libro, dalla sua posizione specifica è possibile trarre alcune conclusioni generali. Ma a queste arriveremo alla fine.
L’autrice si scaglia a ragion veduta contro l’eccessiva richiesta di salute del mondo contemporaneo. Questa, che sembra un’affermazione folle, è invece molto ben spiegata nel corso del libro. A dire dell’autrice tutti i soldi ed il tempo spesi per ottenere dall’attività di prevenzione e previsione una ricaduta positiva sulla salute della popolazione, se venissero spesi in un miglioramento delle disponibilità per trattare la malattia quando si è presentata, otterrebbero risultati più positivi. Sembra un paradosso che va contro il senso comune, educato da decenni di slogan a favore della profilassi; ma vengono elencati diversi dati a favore. Ad esempio una ricerca condotta in Canada su oltre 900.000 donne fra i 40 e i 59 anni che hanno condotto esami mammografici ha evidenziato che questo esame “…non riduce la mortalità da tumore al seno più dell’esame fisico o delle cure consuete ogni volta che la terapia coadiuvante successiva, compresa radioterapia, chemioterapia e terapia endocrina, è disponibile gratuitamente” (p. 23). Attenzione all’avverbio gratuitamente. Per le malattie più difficilmente definibili, ma per le quali è stato trasmesso dal sistema dei mass media un terrore infondato presso le potenziali vittime, i testi di valutazione sono quasi sempre a pagamento e le cure – effettive o palliative che siano – sono a carico del singolo. Ove il sistema sanitario, per migliorare i suoi parametri di successo – il numero di pazienti salvate da un incipiente cancro al seno – abbassa la soglia di pericolosità da rilevare, sempre più false positive verranno sottoposte a cure non necessarie che peggioreranno la vita della paziente e costituiranno uno spreco di risorse sia private sia pubbliche.
Simili discorsi si possono fare per le cure, spesso inutili quando non addirittura contrassegnate da un accanimento terapeutico insensato, riservate agli anziani in condizione di fine vita senza tralasciare coloro che non rispettano i parametri entro i quali è stabilita la salute e che si sentono in dovere di curarsi anche se non hanno consapevolezza di alcun disturbo arrecato da questo sforamento.
La medicina è una pratica soggettiva oltre che una scienza oggettiva e quindi il medico non dovrebbe mai dimenticare che ha di fronte un soggetto unico, con le sue idiosincrasie e le sue particolarità; la legge generale su cui è stato costruito il farmaco o lo strumento diagnostico, ovviamente utilissimi, magari non si adattano a tutti. Pretendere di generalizzare l’uso degli strumenti che la medicina ha sviluppato in oltre due secoli di faticosa crescita è, oltre che miope, avventato.
La medicina contemporanea, quasi totalmente in mano a poche grandi industrie farmaceutiche, ha tutto l’interessa far credere ai clienti che la salute sia una merce in vendita e che quindi sia possibile scongiurare malattie e – in ultima analisi – persino la vecchiaia e la morte. I passi indietro del sistema sanitario britannico rispetto ai dorati anni ’60 e ’70 sono stati ingenti – ricordiamo che l’Inghilterra ha subito vent’anni di governo Tatcher – e questa constatazione probabilmente infervora l’autrice di questo prezioso pamphlet. L’osservazione centrale va comunque tenuta salda e pienamente condivisa: la salute non è merce in vendita, si può restare sani solo tenendo un comportamento sano. Il corpo dell’uomo non è fatto per provare tutti i prodotti che il mercato produce, medicine comprese.
Se andate poco in farmacia e all’ospedale è perché state bene.