Recensione: John Updike, Il centauro, Einaudi

Recensione:
John Updike, Il centauro

Einaudi, pp. 312, euro 21
traduzione Bruno Oddera

Interessante più come esercizio di stile che per la vicenda narrata, questo vecchio romanzo di Updike; la triste vita di George Caldwell si snoda all’interno della scuola superiore ove lui insegna, intrecciandosi in maniera colta alla personalità mitologica di Chirone, il centauro saggio che rinunciò all’immortalità per eliminare il costante dolore infertogli da una freccia scagliatagli contro da Eracle. Oltre a George, molti altre figure appaiono durante lo svolgimento, tutte assolvendo in definitiva la funzione di accrescere le costanti preoccupazioni, da un lato, e l’insofferenza, dall’altro, del povero George.
Un Chirone moderno questo George. Si preoccupa per il destino del figlio Peter, per l’infelicità della moglie e per una miriade di altri particolari, che paiono un po’ ammassati alla rinfusa nella storia; nel contempo però si rende conto che l’odio che nutre per molti aspetti del suo lavoro non gli consentono di giungere a una soluzione. Vorrebbe lasciare il lavoro ma non ha altra capacità che quella di insegnare, unico reddito della famiglia; vorrebbe affrontare di petto il direttore della scuola, ma non ne ha il coraggio; vorrebbe dichiararsi ad una collega, più affine a lui per carattere della moglie, ma non osa. Potrebbe essere saggio, ma i mille inciampi della vita lo rendono solo patetico, in certi momenti anche ridicolo; un Prufrock romanzato?
Ma il costante riferimento alla realtà minuta dell’America post bellica limitano l’ampiezza di significato del romanzo ed il riferimento alla mitologia non basta, a mio parere, ad innalzare questo romanzo nel firmamento delle lettere immortali, visto che la storia della letteratura è molto meno pietosa di Zeus; il che è tutto dire.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *