Recensione: Ermanno Cavazzoni, Il limbo delle fantasticazioni, Quodlibet

Ermanno Cavazzoni, Il limbo delle fantasticazioni
Quodlibet, pp. 143, euro 12.50
 

Il libro delle farneticazioni. Oppure il libro delle occasioni, nel senso delle cose che accadono, e in quanto accadono spingono altri accadimenti a prender piede, e preso piede queste cose portano avanti il discorso, che va avanti da sé, invero, il che è già bello in questa plumbea atmosfera culturale italiana in cui le cose vanno avanti solo se fanno schifo, che in quanto cose schifose possono essere messe in tv, che è da lì che arriva il successo.
Ho già nominato, e numerato, alcuni esponenti di questa per altri versi meritevole compagnia che dalle lande emiliane, ma non solo, riprende il parametro usato in origine da Gianni Celati e cerca di portare all’attenzione dei lettori un nuovo modo di scrivere, e quindi di leggere, che si basa sul fatto minimo, descritto in termini minimi, e che però non è minimalismo, corrente letteraria che mi fa schifo quant’altre mai. Il buon Cavazzoni ci descrive le condizioni che predispongono alla scrittura, e che sono condizioni invero eccezionali, e proprio in quanto eccezionali tutti dovrebbero essere consapevoli del fatto che scrivere è attività d’eccezione, e invece, ci dice Cavazzoni, la macchina industriale dei libri ha ormai perfezionato alcuni meccanismi, oscuri agli occhi dei più, che permettono alle solite persone, o comunque a persone che hanno in sé molte caratteristiche che consentono loro di essere persone solite, nel senso di abituali, comuni, tra cui non certo l’attitudine alla solitudine, che è la caratteristica del genio, come Cavazioni puntualizza quando ci parla di Kafka (sempre sia lodato), che permettono alle persone solite, dicevo, di essere sempre alla ribalta. E questo essere sempre alla ribalta di questi personaggi ha la nefasta conseguenza di spingere sempre più in basso la letteratura, che non è più luogo di memoria, di ricerca di senso, ma diviene luogo per sfoggio di arie da parte di personaggi che farebbero meglio a stare nascosti per la vergogna.
Cavazzoni entra in maniera estremamente discorsiva nei meandri della letteratura, spiegandone i misteri; ma questa spiegazione non è una spiegazione del come si fa a, da cui derivi il fare, la letteratura. E’ una descrizione di come ha fatto chi è riuscito a fare che dovrebbe spingere chi vuol fare, la maggior parte di quelli che vogliono fare, a desistere dal fare e a darsi ad altre attività magari meno dannose per l’umanità. Ma da tutto ciò che vedo, che settimanalmente mi arriva in libreria, mi pare evidente che questo discorso non prende piede. E difatti i libri non sono più pieni di fantasticazioni, ma per la maggior parte sono zeppi di televisione e di vite vissute come nella televisione, che è il luogo dove la fantasia muore.
Il recupero delle fantasticazioni dal limbo ove la quotidiana vita produttiva le spinge, ecco lo scopo della letteratura; che se recuperasse queste fantasticazioni diventerebbe una causa di svago perenne per l’umanità, che però forse non vuole svagarsi, preferendo invece la comoda ma improduttiva tattica delle lamentazioni. Un consiglio quindi, seguendo il poeta: non ragionar di lor, ma leggi e passa.

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