Recensione: Marcello Di Paola, Cambiamento climatico

Marcello Di Paola
CAMBIAMENTO CLIMATICO
Edizioni Luiss, pp. 145, € 11,00

Nei prossimi anni dovremo tutti confrontarci, volenti o nolenti, con la questione del cambiamento climatico. Per non affrontarla in maniera superficiale, può essere utile leggere questo agile libro che, in poco più di 100 pagine, riassume la questione inquadrandola bene sia dal punto di vista scientifico sia dal punto di vista politico. Dal primo punto di vista restano pochi dubbi. Basta esporre tre numeri: dall’inizio dell’era industriale a oggi la concentrazione atmosferica di anidride carbonica è passata da 280 a 398 parti per milione; nello stesso lasso di tempo si è registrato un aumento medio della temperatura di 0.8 gradi; per finire, il livello globale delle acque si è innalzato di 25 cm (cfr. p. 28 sgg). Nonostante l’assenza di dubbi scientifici, la parte negazionista sfrutta l’incertezza insita in ogni discorso scientifico, soprattutto se definito da un campo in cui agiscono molteplici fattori, per insinuare il dubbio nell’opinione pubblica che la campagna stampa terrorizzante degli ultimi periodi sia frutto di una manipolazione volontaria della stessa opinione pubblica compiuta da agenzie che agiscono per limitare lo sviluppo. Occorre, a detta dell’autore, che la scienza si interroghi sul come sia possibile che un dato difficilmente discutibile sia così facilmente messo in discussione; occorre portare maggiore attenzione all’efficacia comunicativa.
La messa in discussione di un dato scientifico, fatta con argomenti capziosi e dati mal interpretati, riflette la difficoltà di una presa di posizione univoca e decisa della comunità politica internazionale. Possiamo grosso modo identificare due blocchi contrapposti nella gestione del problema climatico; da una parte l’Europa e i piccoli stati sparsi per il mondo, spesso regioni insulari o peninsulari, che hanno tutto da perdere con un innalzamento non controllato della temperatura; dall’altro i giganti cinese e americano, seguiti da un codazzo di satelliti che si oppongono ad una politica concertata, sostenendo che la perdita economica per i propri paesi è troppo grande da affrontare. Per non affrontarla, il problema viene spostato in avanti nel tempo. Questo uso della politica riflette un difetto di fondo della comunità umana; una richiesta a rinunciare a qualcosa viene, ove possibile, scaricata altrove. Più che un problema collettivo il cambiamento climatico è visto come una situazione che può essere affrontata in modo settoriale, attraverso rinunce individuali o di gruppi individuati: “il cambiamento climatico muta da sfida cooperativa ad una serie di rinunce individuali” (p. 58).
In relazione al problema climatico i governanti devono assumere due tipi di responsabilità. La prima è quella verso gli spazialmente lontani; gli stati del nord del mondo devono essere responsabili verso gli stati del sud perché il sistema industriale globale, che è partito proprio dal nord, sta producendo effetti che lederanno l’ambiente complessivo, ma soprattutto a partire dal sud. In secondo luogo c’è una responsabilità anche verso i temporalmente lontani, verso le generazioni future, che si troveranno a dover affrontare una situazione di cui sono in minima parte responsabili. Ma qui, toccando il tema della responsabilità, apriamo il vaso di Pandora. La politica non è oggi in grado di assumere le responsabilità che le spetterebbero per una svariata serie di motivi, primo tra tutti l’emergere di nuove forze politiche che trascurano per principio ogni preoccupazione per gli spazialmente lontani e per la natura non umana: “Se le democrazie volessero curarsi degli spaziotemporalmente distanti e della natura non umana, esse dovrebbero estendere la loro responsabilità politica molto al di là dei confini tracciati dalle preferenze elettorali dei propri governati. (…) Questa è una difficoltà molto profonda a livello non solo pratico ma anche di principio” (p. 63).
Il cambiamento climatico prossimo venturo porta con sé due possibili modalità d’affrontarlo: da un lato dovremo tentare di mitigarlo, dall’altro dovremo adattarci ad esso. Le due modalità dovranno viaggiare unite e rafforzarsi a vicenda, mentre la politica tende a preferirne una a seconda della convenienza del momento. Solitamente si preferisce il primo, che per assurdo rafforza la dipendenza dell’uomo dalla tecnologia, che è quella che ha portato allo stato attuale.
La situazione è complessa, e non si vede all’orizzonte un chiaro intento di azione collettiva, l’unica che potrebbe arginare la deriva del degrado ambientale. L’umanità, nel suo complesso, sta gradualmente e irreversibilmente distruggendo il pianeta su cui è nata è non è in grado di agire come un complesso per motivi principalmente politici che si intrecciano con la natura psicologica delle entità, reali, che compongono l’irreale concetto di umanità. Chiudiamo con le parole di Di Paola che, a pagina 133, dice: : “ciò che sarebbe moralmente ingiustificabile quando si parla di persone identificate diventa del tutto giustificabile quando si parla di persone statistiche” (p. 133).

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