Recensione: Giorgio Caponetti, Il grande Gualino

Giorgio Caponetti
IL GRANDE GUALINO
Edizioni Utet, pp. 422, € 17,00

Dopo Il grande Gatsby e Il grande Lebowsky, due personaggi inventati che rappresentano un’epoca, ecco comparire un personaggio reale, Riccardo Gualino che, come recita il sottotitolo, è un uomo del novecento, ovvero è una persona che incarna gli ideali di un secolo, e di una prospettiva sulle cose, ormai passata e, probabilmente, sconfitta, una sconfitta che è la sconfitta nella speranza in un futuro migliore, ma tant’è, e lui, Riccardo Gualino, non sapeva con ogni probabilità di incarnare questa speranza, perché l’incarnazione di un ideale è tale solo a posteriori, quando il presente rimpiange il passato periodo ideale, ma così facendo il presente non si rende conto di tradire il passato, perché esso, questo passato di speranza, guardava costantemente verso il futuro, e tutta la vita di Riccardo Gualino è giocata verso il futuro, quando, partendo da inizio secolo inizia a commerciare in legname ed accumula così una piccola fortuna che poi, entrando in giochi più grandi, si espanderà con il suo ingresso nel mondo bancario.
La vita del nostro percorre il XX secolo italiano e si intreccia, inevitabilmente, con la vita di Giovanni Agnelli, di cui Caponetti aveva già narrato gli oscuri inizi con il piccolo capolavoro di Quando l’automobile sconfisse la cavalleria, e con molte altre vicende storiche, tutte narrate attraverso personaggi reali di fama mondiale, personalmente conosciuti da Gualino, e con il filo conduttore del suo matrimonio con Cesarina, una ragazza di dieci anni più giovane, sposata diciassettenne, e che rappresentò lo scopo della vita per questo finanziare-imprenditore. La sua figura è pencolante tra la spregiudicatezza disonesta e l’ardimento speranzoso, e sembra dirci che chi non osa non ottiene. Ma erano altri tempi, e si poteva osare, anche in Italia, triste paese in cui chi non osava/osa ma aveva/ha i contatti giusti, alla fine vince.

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