Recensione: Robert Menasse, La capitale

Robert Menasse
LA CAPITALE

Edizioni Sellerio, pp. 445, euro 16
Traduzione Marina Pugliano e Valentina Tortelli

Il maiale che appare e scompare per le vie della capitale d’Europa è un simbolo? Se sì, di cosa? Domanda senza risposta, forse, ma che dà il tono al piacevolissimo romanzo di Robert Menasse che con parole argute e sapienti, nel senso di uno che sa come vanno le cose, ci descrive la vita quotidiana, gli odi, le vere motivazioni e i contorti modi di pensare che l’apparato burocratico di Bruxelles, la capitale appunto, mette in atto per giustificare la propria esistenza. Oltre che al maiale, figura metaforica ma defilata, il romanzo si concentra sui tentativi di alcuni funzionari del dipartimento cultura della commissione europea che, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla fondazione, vogliono trovare un modo per festeggiare questo evento. E quale modo migliore, apparentemente, che non richiamarsi agli orrori del nazismo e andare in cerca degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz – questo romanzo vi fa riflettere sul fatto che fra pochi anni non ci saranno più testimoni oculari della shoà, gli unici testimoni saranno i libri, ma si sa che i maiali i libri non li leggono – e far fare a loro da testimonial sul nucleo fondativo della CEE. Ma visti i tempi non è così facile trovare qualcosa che unisca. L’aspetto più rilevante del romanzo è la descrizione del funzionamento delle commissioni europee da cui emerge una sostanziale immobilità dell’insieme. Mentre il maiale che apre la storia, scorrazza e compare qua e là nella città, facendo parlare di sé, quella che era l’occasione per ridare lustro etico all’idea da cui nacque l’Unione Europea viene gradualmente sepolta da paure e capziose precisazioni, lasciando spazio libero a chi non ha niente da dire, a chi può solo grufolare. Anche in questo caso, un simbolo.

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