Recensione: Antonio Manzini, Sull’orlo del precipizio

Antonio Manzini
SULL’ORLO DEL PRECIPIZIO
Edizioni Sellerio, pp. 115, € 8,00

Non so se è motivato dalla creazione del colosso editoriale nato dall’assorbimento di Rizzoli in Mondadori, o se sia stato motivato da pensieri precedenti; fatto sta che il piccolo romanzo di Manzini mette in evidenza alcuni rischi dell’attuale situazione editoriale italiana, e non solo.
Il protagonista del romanzo è Giorgio Volpe, un grande scrittore che termina il suo ultimo romanzo in contemporanea alla fusione delle tre grandi, e storiche, case editrici del paese. Il suo lavoro a questo punto non viene più giudicato in termini letterari da suoi pari, ma da due loschi figuri, che campeggiano sull’adesivo artigianalmente incollato alla copertina del libro, uno italiano e l’altro russo. Sono impiegati della Sigma, il colosso impersonale che vuole ridurre Volpi e i suoi colleghi a numeri, a codici dai quali aspettarsi una rendita annua fissa, con prodotti dai risultati prevedibili e con un pubblico assicurato.
Di fronte a questo ricatto, come reagiranno Volpi e i suoi colleghi? Di fronte alla situazione reale, come reagiscono gli scrittori italiani? La conclusione del libro non è delle più rassicuranti.
E’ un’estremizzazione, certo. La situazione descritta nel romanzo non può avverarsi, certo. Nessuna struttura attuerà mai su scrittori e piccoli editori minacce reali, perché la nostra società non richiede più questi metodi da guerra fredda. Ora la struttura repressiva si è trasferita all’interno di ogni scrittore, che sarà sempre più timoroso di produrre testi che si discostino dalle aspettative degli editori, dai supposti desideri del pubblico; l’unica speranza sta nei lettori, che continuino a richiedere contenuti stimolanti, libri nei quali il bene e il male si mischino senza timore, come nella vita reale. Libri che ci mantengano all’erta.
Costantemente. Sull’orlo del precipizio.

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