Recensione: Paolo Colagrande, Senti le rane, Nottetempo

Paolo Colagrande, Senti le rane

Nottetempo, pp. 332, euro 16.50

Paolo Colagrande mi aveva già sorpreso anni fa con il pregevole Kammerspiel. Con questo nuovo romanzo conferma l’impressione positiva, di uno scrittore attento e competente in grado di curare sia la trama sia lo stile. Quando contenuto e forma si abbinano il risultato non può mancare.

Vi invito quindi a sedervi ad un tavolo del bar ove il narratore, seduto insieme all’amico Sogliani, narra le vicende del povero Zuckermann, ora distrutto uomo d’età, all’inizio della vicenda giovin di belle speranze, traghettato dalla religione ebraica alla vera religione in virtù d’una apparizione divina che lo sveglia dal torpore. Accolto quindi a braccia aperte dal vescovo Ballabieni Dellostrogolo, viene inviato ad amministrare il gregge di un piccolo paese, Zobolo Santaurelio Riviera, già in odore di santità. I paesani accolgono il prete giovane con altissime speranze, talché una famiglia di maggiorenti, i Bonifazzi, affidano la giovane e bella figlia Romana alle cure del prelato. Precisiamo allora che siamo in un’Italia imprecisa, tra gli anni ’50 e ’60, quando ancora i mores aviti vietavano, teoricamente, le trasgressioni. Ma noi che leggiamo oggi, di questi costumi dimentichi,  già sospettiamo gli effetti che questo affidamento avrò sul destino del prete, ora manifesto al tavolo dove lo stiamo guardando insieme al caustico Sogliani. La verifica di questi prevedibili effetti avrà il pregio di illustrare in maniera colta e tagliente degli effetti che la passione ed il suo essere impedita possono avere sul destino degli uomini.

Alla fine siamo solo spettatori di un dramma/farsa che si svolge a nostra insaputa: tutto quello che possiamo fare è sederci in riva allo stagno ad ascoltar le rane, sederci in un bar ed ascoltar la storia.

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