Recensione: Cyrus Mistry, Le torri del silenzio, Metropoli d’Asia

Cyrus Mistry, Le torri del silenzio

Metropoli d’Asia, pp. 242, euro 14.50

Traduzione Giovanni Garbellini

 

La religione zoroastriana è una delle più antiche, ampiamente diffusa in Asia fino all’arrivo dell’Islam. Da allora, essa è costantemente regredita. Oggi si contano non più 250.000 fedeli, la maggior parte dei quali raggruppata in India. E appunto in India, a Bombay, si svolge la vicenda.

Il narratore si chiama Phiroze ed è figlio di un gran sacerdote, Framroze, che accudisce ad un piccolo tempio con il compito di tenere sempre acceso il fuoco, simbolo della purezza. Dai suoi ottanta e passi anni Phiroze ci racconta come, da figlio di sacerdote e quindi destinato a d una vita tranquilla, sia potuto finire nel posto da dove ci sta raccontando la sua storia, le Torri del silenzio.

Tra i vari rituali connessi alla purezza c’è il trattamento riservato ai morti. Dato che i morti sono impuri, essi non vanno ricondotti alla terra, che si contaminerebbe. I morti vanno deposti sulla cima di alte torri, le torri del silenzio appunto, sulle quali gli avvoltoi si ciberanno del corpo dei defunti. Il giovane Phiroze si innamora della bella Seppy, figlia di un trasportatore di morti, uno di coloro i quali recuperano i morti dalle case e li portano alle torri. I portatori non possono mai uscire dal recinto delle torri, né possono toccare alcunché al di fuori di tale recinto. Ma per Seppy Phiroze accetta il destino di vivere lontano da tutto e da tutti. E la via tracciata seguendo questo destino ci viene raccontata con dovizia di particolari e riflessioni sul senso di una vita ai margini, nel senso più autentico della parola. Un libro interessante e ben scritto , che non può certo brillare per colpi di scena e thrilling, ma che proprio per questo si distingue dai prodotti massificati ai quali la produzione editoriale cerca di abituarci.

Tutte torri del silenzio.

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