Recensione: Giorgio Caponetti, Quando l’automobile uccise la cavalleria

Giorgio Caponetti
QUANDO L’AUTOMOBILE UCCISE LA CAVALLERIA
Edizioni Marcos Y Marcos, pp. 486, € 18,00

L’uccisione della cavalleria fu in primis un fatto economico. A fine ‘800 quasi tutti gli spostamenti si effettuavano tramite trazione animale; ma il progresso avanzava, e l’invenzione dell’automobile in una decina d’anni si fece sentire. Una parte, prima piccola ma in prospettiva già molto grande, delle risorse finanziarie prese la direzione dell’industria automobilistica. Ma questo omicidio culturale – il progresso inevitabilmente elimina il vecchio per fargli subentrare il nuovo – è in questo romanzo intrecciato abilmente ad un altro omicidio, più reale ed umano. Un omicidio che non è mai stato risolto dalle indagini dell’epoca. L’autore lascia intuire che a giustificare tale lacuna giudiziaria siano stati i legami dei poteri forti con i presunti mandanti di tali omicidi.
Ma andiamo con ordine. Federigo Caprilli e Emanuele Cacherano di Bricherasio, conte, diventano amici all’accademia di equitazione. Federigo è figlio della media borghesia, mentre Emanuele è un ricco nobile. Entrambi incarnano lo spirito dell’epoca, con la fiducia nel progresso ed una forte idealità. Le loro vite proseguono fino all’intreccio economico e fatale con Giovanni Agnelli. Emanuele e Giovanni, insieme ad altri nobili coinvolti da Bricherasio, fondano la F.I.A.T., precursore dell’attuale nota casa automobilistica, mentre Federigo procede con la sua carriera militare. Lo spirito nobile e democratico di Emanuele però lo pone in contrasto con la modalità spiccia di condurre gli affari di Agnelli. Poco dopo, nella casa del duca di Genova, Emanuele viene trovato morto. Dopo tre anni Federigo Caprilli, capitano di cavalleria e personaggio noto in tutta Europa, cade da cavallo e muore; anch’egli in circostanze poco chiare.
Giorgio Caponetti riesce a trasmettere al lettore sia la sua passione per i cavalli – questo è anche un romanzo sulla tecnica dell’ippica, visto che Caprilli rivoluzionò il modo di andare a cavallo – sia la sua passione per la vicenda storica, passione inevitabilmente legata alla passione per la verità; e riesce a fare ciò inventando un quarto cavaliere, il nonno del bambino che, nella Torino degli anni ’50, sente raccontare a spizzichi e bocconi una storia di cavalli, automobili e servizi segreti.
Non è stato provato niente circa il coinvolgimento, diretto o indiretto, di Agnelli nelle due morti o nello scandalo finanziario che seguì di poco la morte di Caprilli. Con questo scandalo la F.I.A.T. cambiò nome, divenne Fiat, e proprietari. Per una serie poco chiara di speculazioni, con oscillazioni del valore dell’azione e presunte manovre di aggiotaggio, dopo pochi anni si svolse un processo cui vennero coinvolti molti membri del consiglio di amministrazione. Vennero tutti assolti. Il libro riporta le indicazioni bibliografiche utilizzate dall’autore per scrivere il romanzo, che Caponetti tiene a precisare è un romanzo storico e quindi un’opera di fantasia.

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