Recensione: Stephen Hawking – Leonard Mlodinow, Il grande disegno, Mondadori

Stephen Hawking – Leonard Mlodinow, Il grande disegno
Perché non serve Dio per spiegare l’universo
Mondadori, pp. 171, euro 20
Traduzione Tullio Cannillo
     Una proposizione può solo dire come una cosa è,
      non che cosa essa è
Wittgenstein, Tractatus
Quest’ultimo libro di uno degli scienziati contemporanei più popolari a livello mediatico – Stephen Hawking è quello che ha scritto Dal Big Bang ai buchi neri, uno dei più noti testi di divulgazione delle teorie cosmologiche – mantiene l’abituale, prettamente anglosassone, livello di chiarezza espositiva di tematiche nient’affatto facili da esporre chiaramente anche se alla fine cade ingenuamente nell’atteggiamento metafisico che si propone di criticare nel sottotitolo. Ma andiamo con ordine.
     C’è il consueto cappello storico dove vengono presentate le varie vicende che hanno portato l’umanità da un mondo spiegato quasi interamente in termini magici ad un mondo dove domina la spiegazione scientifica, quella che usa il nesso causa-effetto. Questo percorso ha condotto l’uomo a rendersi conto che la sua visione della realtà non è mai pura, ma profondamente legata alla teoria che sceglie di adottare per descrivere la realtà stessa: “non esiste alcun concetto di realtà indipendente dalla descrizione o dalle teorie” (p. 39). Questa posizione è in profondo disaccordo con quella assunta dal mondo scientifico fino all’epoca di Einstein ma si giustifica pienamente con la nascita della teoria quantistica. Questa teoria è quella parte di fisica che si occupa di descrivere l’infinitamente piccolo; tramite essa il soggetto entra a pieno titolo nella definizione della realtà del fenomeno.
     Senza entrare nei dettagli – per quelli c’è il libro, dove si parla diffusamente di Feynman e dei suoi esperimenti – riassumiamo dicendo che la fisica quantistica sostiene l’impossibilità di stabilire in maniera univoca la posizione occupata da una particella nella sua traiettoria da A a B; questo dato risulta dal perfezionamento dell’esperimento delle due fenditure, effettuato per la prima volta nel 1927. Dagli sviluppi di questo esperimento Feynman trasse gli elementi per formulare una teoria unitarie delle forze elettromagnetiche (QED). Dato che l’universo macro è dominato dalle forze elettromagnetiche unite alla forza di gravità, le teorie più recenti per la descrizione dell’universo sfruttano ampiamente l’indeterminatezza offerta da questa impostazione.
     La teoria M, la più accreditata tra queste, che potrebbe anche essere una rete di teorie ciascuna adatta ad un particolare fenomeno dell’universo, si propone di analizzare unitariamente i fenomeni fisici, macroscopici, che risultano dai fenomeni microscopici: “La teroria M ha 11 dimensioni spaziotemporali, e non dieci. I teorici delle corde sospettavano da tempo che la predizione delle dieci dimensioni potesse richiedere una correzione, e ricerche recenti hanno messo in evidenza che effettivamente una dimensione era stata trascurata. Inoltre la Teoria M può contenere, oltre che corde vibranti, anche particelle puntiformi, membrane bidimensionali, bolle tridimensionali e altri oggetti di cui è più difficile farsi un’idea intuitiva e che si estendono in un numero maggiore di dimensioni spaziali, fino a nove. Questi oggetti sono chiamati p-brane. (…). Le leggi della teoria M ammettono quindi differenti universi, con leggi visibili diverse, a seconda di come lo spazio è avvolto su se stesso” (pp. 113-114).
     L’esistenza di universi alternativi è garantita a livello teorico, perché richiesta dalle soluzioni delle equazioni che descrivono il nostro; però, dato che la lente visuale fornita dalle nostre teorie è programmata per lavorare sulle quattro dimensioni individuate da Einstein, questa possibilità non ci tocca in pratica. Si giunge così alla coincidenza del principio antropico debole con il principio antropico forte: la nostra esistenza effettiva condiziona le possibilità che potremo osservare.
     La nostra esistenza è dovuta a specifiche condizioni fisiche che si sono realizzate in maniera apparentemente provvidenziale, aspetto che ha condizionato l’uomo a sviluppare l’idea di un’entità superiore che ci ha benignamente offerto questo habitat. Scopo ultimo del libro è spiegare che non vi è alcun bisogno di un Dio che ci offra il mondo, e allora Hawking ci illustra la tesi dell’inflazione. Tranquilli, non stiamo per affrontare un complicato discorso sull’economia capitalista, ma cercheremo di spiegare il dato sensibile che l’universo, per quanto è grande e per una sua caratteristica fisica detta radiazione di fondo, non avrebbe potuto svilupparsi semplicemente dall’esplosione di un’immensa palla di fuoco originaria, che è un po’ l’immagine ingenua del grande pubblico.
     Dobbiamo invece immaginare l’inizio come uno stato quantistico fluttuante; a seguito di una irregolarità questo nucleo potenziale si è espanso; appena ha iniziato ad espandersi è subentrata l’inflazione, ovvero la generazione di materia e spazio a velocità superiori a quelle della luce. E poi l’universo ha preso ad espandersi e a raffreddarsi per come lo vediamo adesso. Solo in questo modo è possibile spiegare l’omogeneità della radiazione di fondo che pare permeare tutto l’universo di una temperatura costante di tre gradi superiore allo zero assoluto.
     Hawking appartiene, va detto per chiarezza, alla corrente dominante della ricerca cosmologica, ovvero a quella corrente che crede alla necessità di una teoria unitaria per spiegare tutto; ma il volere spiegare tutto non è un atteggiamento teologico che cade nella critica che investe la stessa idea di Dio? La teoria dell’inflazione è pura teoria, come anche l’ipotesi di Dio lo è; il successo empirico della scienza garantisce tutti quelli che vedono in essa un miglioramento della vita dell’uomo circa la maggiore attendibilità dell’ipotesi inflazionistica rispetto a quella divina, ma per chi vede nella scienza la causa del male, come la mettiamo? Costoro vedranno sempre in Dio la soluzione. La risposta  consiste nel rinunciare ad iniziare dalla spiegazione. Bisogna partire dialetticamente dalla descrizione, che si può fare senza che intervenga alcun Dio. Il mondo è interamente descrivibile senza divinità. La somma delle descrizioni del direttamente visibile, messe insieme forniranno una spiegazione che sarà libera da elementi metafisici, interamente umana.
     Perché non serve Dio per descrivere l’universo.

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