Recensione: Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo, Guanda

Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo
Saggio sulla libertà di non studiare
Guanda, pp. 271, euro 17
 
 Paola Mastrocola, insegnante di italiano di un liceo statale, riapre, con questo bel saggio, il vaso di Pandora dei problemi della scuola italiana. Non abbiate timore comunque, perché i nostri abili governanti saranno prontamente in grado di ricacciare tutti i mali sotto il tappeto per procedere quindi, quasi indisturbati, nello smantellamento graduale delle ultime vestigia della scuola pubblica.
E’ inutile elencare tutti questi mali, sia perché in tanti già li supponiamo sia perché la prosa della nostra autrice è tanto gradevole che qualunque tentativo di riassunto non può ottenere lo stesso effetto. Dico questo perché nelle parole della Mastrocola, soprattutto nelle prime due parti, si avverte quello sdegno, quell’urgenza del dire che sono propri di una generazione d’intellettuali ormai passata e che, tuttavia, qualcuno ancora rimpiange. Ed è quindi un piacere leggere una persona che, con le ottime armi della retorica, si chiede perché gli anni ’70 abbiano comportato la vittoria, nella scelta degli stili d’insegnamento, del modello Don Milani – Rodari opposto all’idea che Adorno proponeva dell’istruzione. Questo è, in buona sostanza, il problema. Perché abbiamo offerto ai nostri figli una scuola che, invece di spingerli all’acquisizione di una struttura che riflettesse il mondo e che permettesse loro di vincerlo, si limita ad offrire a tutti gli stessi mezzi elementari per maneggiare una realtà prodotta da altri e sulla quale non hanno più nessun controllo?
In sostanza la Mastrocola si scaglia contro un frainteso senso dell’eguaglianza, figlio degli anni ’70, in base al quale tutti avevano diritto ad un’uguale formazione. L’approccio di Don Milani all’istruzione va benissimo, ma all’interno della struttura gestita da Don Milani; allargato e generalizzato il principio di consentire ad ognuno una formazione corrispondente alle proprie inclinazioni coincide con il mantenimento della gerarchia sociale sostanziata dal denaro. Va ribadito comunque che le intenzioni degli anni ’70 erano per una formazione verso l’alto ma, di fatto, siamo riusciti solo ad ottenere una livellazione della formazione verso il basso. In altre parole la vittoria della scuola delle competenze sulla scuola delle nozioni rappresenta la sconfitta dell’individuo nei confronti del sistema produttivo, del quale diviene semplice propaggine. Con grande abilità retorica, torno a ribadirlo, la Mastrocola espone le cose in modo tale che chiunque la legge non può fare a meno di riconoscere l’assoluta necessità delle tanto vituperate nozioni. Eppure, quelli che la leggono e che magari le danno ragione sono gli stessi che, nei confronti delle proposte delle scuole stanno più attenti al contorno che non alla sostanza dell’offerta scolastica. Le varie scuole vengono oggi valutate non tanto in base all’offerta didattica – che è di difficile valutabilità in effetti – quanto in base all’offerta formativa complessiva, la quale non si sostanzia con la didattica ma con le attività opzionali, scelte per giunta dai genitori degli alunni. Il bisogno democratico di rendere giudicabile la scuola da parte degli utenti ha tolto qualsiasi autorevolezza agli operatori nel campo che è loro proprio. Il campo che è loro proprio, il sapere da trasmettere, diviene così un elemento molto sp! esso marginale della scuola. Questo a prescindere dal valore degli operatori stessi, che andrebbe stabilito con procedure affidabili; ma siamo in Italia, e forse qualcuno ricorderà il tentativo, stoppato dai sindacati, di introdurre un sistema di valutazione periodico degli insegnanti da parte del ministro Berlinguer.
Comunque sia, ogni cosa pare remare contro la scuola, almeno stando alla visione che ci offre la Mastrocola. Con stile baconiano la nostra nelle prime due parti squaderna ottime ragioni per sostanziare la pars destruens della sua teoria. Ma, come ogni teorico, alla pars destruens segue una pars costruens e qui, ahimé, ci sarebbe da ridire. La nostra propone infatti una scuola che cade nelle stesse critiche da lei mosse alle ultime tentate correzioni legislative. E’ infatti d’accordo con la necessità di seguire le inclinazioni di ognuno, ma, e qui crede di differenziarsi, occorre che le inclinazioni raccolte siano quelle ‘vere’, quelle autentiche d’ogni bambino. La scuola dovrebbe raccogliere queste tendenze e coltivarle con un impegno che, risalendo agli inizi del percorso scolastico, consegni ai professori delle superiori studenti motivati chi allo studio delle declinazioni latine, chi alla saldatura di tubi in acciaio chi, infine, alla tessitura di relazioni tra le persone per rendere il mondo un luogo più umano in cui vivere. Acciocché ogni persona sia felice a modo suo, potremmo dire, ed in questo modo il Candido di Voltaire troverebbe la sua attuazione contemporanea.
Le cose però non vanno così, la Mastrocola lo sa bene; non viviamo nel migliore dei mondi possibili né, per fortuna, nell’hobbesiano mondo dell’homo homini lupus. Il suo è il dilemma cui ogni intellettuale si trova di fronte se valuta con occhio troppo aperto alla speranza il mondo attuale. Com’è possibile che, con tutta questa intelligenza, con tutta questa cornucopia di beni sparsi ogni dove, con tutte le possibilità che la tecnologia offre, le cose vadano così male? si chiede l’intellettuale.
Io per parte mia, da libraio, non ho la risposta, ma non credo che togliere il disturbo, farsi da parte, lasciare che ciascuno faccia quello per cui si sente portato sia la soluzione.
Sarebbe come se rinunciassi alla scelta dei libri da tenere in libreria.

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