Recensione: Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, Feltrinelli

Lorella Zanardo, Il corpo delle donne
Feltrinelli, pp. 197, euro 13

Se valutassimo questo libro alla stregua dell’intervento di un medico non potremmo che essere d’accordo con la diagnosi; noteremmo però che manca una prognosi affidabile e che gli interventi indicati per passare dal corpo malato al corpo sano lasciano dubbi intuitivi sulla loro efficacia. In ordine quindi, iniziamo dalla diagnosi.

Lo stato della tv in Italia è scandaloso.  Dedicando oltre un mese alla televisione generalista (Il colore dei soldi, Pomeriggio 5, Scherzi a parte, tanto per fare dei nomi) di intrattenimento, Lorella Zanardo, Cesare Cantù e Marco Melfi hanno realizzato un documentario nel quale viene illustrato tramite esempi concreti l’uso che le televisioni a diffusione nazionale fanno del corpo delle donne. Dato che la televisione è oggi una delle maggiori agenzie educative dell’occidente (Cattiva maestra televisione, Popper), tramite essa vengono somministrati modelli ai fruitori; e i fruitori sono anche soggetti non sempre in grado di cogliere l’artificiosità del tutto. La televisione diventa la verità, è così che bisogna comportarsi. La ragazze si comportano come le veline, i ragazzi come i presentatori. Lo svilimento del corpo femminile, il suo sezionamento in parti modello macelleria, l’uso del richiamo sessuale per incrementare le vendite e l’audience, tutti questi aspetti vengono analizzati nel dettaglio. Il vero punto, sostiene la Zanardo, è che, stanti i regolamenti attualmente esistenti, tutto ciò non sarebbe possibile: “Il degrado della programmazione pare inarrestabile. Le leggi e i codici in vigore in Italia non consentono questo tipo di sfruttamento delle donne, dei minori, della dignità di tutti. Basterebbe applicarli per tornare a una tv di maggiore qualità, utile e coinvolgente per chi la guarda. Leggi e codici: dunque la volontà dei cittadini, del parlamento che li rappresenta, delle televisioni stesse, che in alcuni casi si sono date regole proprie. Ma tutti, tanto le leggi quanto i codici, sono rimasti lettera morta per la perdita di coscienza dei nostri diritti, per l’arroganza di chi fa la tv, per una generale demoralizzazione. Ripartiamo da qui: c’è già tutto, basta applicarlo” (p. 80). Il problema sta quindi nella mancata rilevanza sociale che i comportamenti palesemente offensivi esibiti in televisione hanno; “se, come abbiamo appurato, il problema non è di tipo legislativo, se si produce una televisione offensiva anche se le leggi lo vietano, significa che il problema è culturale” (p. 112).

La dimensione culturale del problema fa sì che la risposta non possa provenire da regolamenti o leggi nuove, ma da una modifica della cultura stessa, il che richiede tempi lunghi; sennonché, da studi sociologici, pare che nel panorama europeo, Grecia e Italia siano paesi in ‘resistenza’, paesi in cui, in altre parole, la rappresentazione stereotipata della donna pare essere un dato antropologico che non merita intervento (cfr. p. 130). L’uso del corpo delle donne sta bene a tutti, se non altro a tutti quelli che guardano la televisione.

A questo punto entriamo nel secondo momento del libro, l’idea cioè che per ottenere questo mutamento culturale sia necessario più impegno, soprattutto da parte di quelli che la televisione non la guardano. Sono loro i principali responsabili dello sfascio che vediamo. L’introduzione di una coscienza critica nell’utenza non abituata a criticare, ecco quello che propone l’autrice: “Com’è possibile, ci chiedevamo, criticare e modificare un fenomeno diffuso come la tv con testi che sono comprensibili solo da chi la tv non la guarda, in possesso d’una cultura varia e complessa, da chi insomma non è il target della proposta televisiva generalista? No, non era possibile” (p.47).

Questo passaggio mi sembra estremamente problematico, per motivi che la stessa Zanardo evidenzia senza apparentemente rendersi contro della loro contraddittorietà rispetto al suo scopo. Ad esempio, a pagine 197, dice: “…giocare con i simboli, e con gli stereotipi, presuppone una consapevolezza così potente e così granitica del gioco medesimo che è molto difficile non restarne scottati.” Mi pare evidente che la televisione è il manipolatore primo dei simboli, in grado di creare realtà illusorie tramite la loro manipolazione. L’autrice sta dicendo che è difficile lasciar giocare con simboli e stereotipi chi non è ancora formato. Non mi sembra però possibile e nemmeno auspicabile che ad ogni utente inesperto sia affiancato un tutor dalla consapevolezza granitica che gli insegni quant’è volgare la velina che fa la sciocchina con Ezio Greggio.

La presa di posizione della Zanardo pecca di un certo moralismo, è vero, di un certo rimpianto per la televisione dei tempi d’oro; un moralismo, ci tengo a specificarlo, che è assolutamente giustificato ma purtroppo inapplicabile, anche perché il tempo andato non ritorna più. L’unica soluzione allo scempio del corpo della donna effettuato in tv è non guardarlo. E’ una soluzione individuale, chiaro. E’ lecito però supporre, dopo i fallimenti dell’illuminismo e delle speranze nella ragione ordinatrice, che vi sia altro che una soluzione individuale ai problemi?

Mi sembra anche il caso di dire che la questione non è limitabile al corpo della donna; direi che riguarda il corpo tout court, inteso come unione di fisico e spirituale. Le coppie che si insultano in televisione, per avere visibilità ed essere riconosciute tra amici e parenti, sono volgari sia per quanto riguarda la donna sia per quanto riguarda l’uomo; il ragazzo che si lascia ammirare sul trono circondato da una serie di ragazzine sorridenti e discinte è stupido tanto quanto le ragazze. Non mi pare quindi che chiedere, come fa la Zanardo al termine del libro, una chiara presa di coscienza da parte della donna del suo Esser-ci nei problemi sia la soluzione; oggi come oggi, tutti hanno perso consapevolezza del proprio essere, dei propri bisogni e delle proprie possibilità; più di tutti hanno perso questa consapevolezza gli spettatori della televisione, in quanto la televisione formatta il suo utente alla fruizione di una realtà parallela dove la fanno da padrone violenza, superficialità e abuso dei luoghi comuni, tra i quali la commerciabilità del corpo femminile è il postulato indiscutibile. L’essere maschio anche a costo di sfociare nell’imbecillità è comunque il parallelo della commerciabilità del corpo femminile. La perdita di consapevolezza dell’una va a braccetto con lo svilimento dell’altro. L’una non avrebbe senso senza l’altro.

Tirando per i capelli la filosofia potremmo vedere in questa diade la dialettica servo-padrone di hegeliana memoria, resa però completamente postmoderna e in quanto tale confusa, non in grado di attribuire ruoli positivi o negativi a priori. I ruoli si mischiano, la dialettica non si realizza, si è alternativamente servo e padrone, nessuno impara e si finisce così per confermare la tesi di quel noto seguace di Hegel.

La televisione è l’oppio dei popoli.

Per chi volesse visionare il documentario diamo di seguito il link del sito; il video dura 30 minuti. Buona visione.

http://www.ilcorpodelledonne.net/?page_id=89

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