Recensione: William Dalrymple, Anarchia

William Dalrymple
ANARCHIA
Edizioni Adelphi, € 34

Alcuni libri passano inosservati, o perlomeno non hanno l’attenzione che meritano, altri libri finiscono per raccontare e insegnarci qualcosa di più di quanto apparentemente proponga il loro contenuto. Il libro di William Darlymple è uno di quelli rari che appartengono a entrambe le categorie e che, a mio avviso, merita un posto di rilievo nella saggistica degli ultimi anni per diverse ragioni.
I meriti di questa opera sono vari. Innanzitutto è la ricostruzione più accurata che sia stata pubblicata sulla Compagnia delle Indie Orientali (CIO): in pratica, la prima società per azioni della storia sorta per volere di alcuni visionari mercanti e borghesi inglesi nel 1599. È un libro di oltre 600 pagine accuratissimo, basti pensare al corredo di 140 pagine finali di bibliografia, indici e glossari, una ricerca immensa e dettagliatissima.
In secondo luogo l’importanza di un’opera scritta da un autore che, pur essendo britannico, vive per la maggior parte del suo tempo a Nuova Delhi e si dimostra capace di attingere a fonti storiche non solo europee ma anche orientali, indiane e non solo perché nell’India di quei secoli non hanno scorazzato solo mercanti e avventurieri di ogni nazionalità europea ma anche Persiani, Afghani e tanti altri durante la lunga agonia dell’Impero Moghul. L’autore padroneggia allo stesso modo la documentazione storica di tutte queste eterogenee fonti.
Il terzo merito diretto è quello di una grande capacità narrativa. Nonostante la selva di nomi nella quale il lettore è costretto a cimentarsi (all’inizio del libro, molto opportunamente, vi è una “Dramatis Personae” nella quale, brevemente, vengono evidenziate le biografie dei personaggi principali delle vicende narrate), è un libro che si legge molto facilmente: l’autore sceglie la fluidità narrativa del romanzo, non del saggio storico, sebbene ogni passaggio, ogni fatto e citazione siano rigorosamente documentati.
Come sottolineato all’inizio, però, il libro ci insegna – e l’autore ne è perfettamente consapevole – qualcosa di più che va al di là della mere vicende storiche. Le vicende narrate sono di una violenza inaudita, da far sembrare i film di Quentin Tarantino opere di formazione per educande. In questa violenza la spogliazione, la distruzione dell’India da parte della CIO va al di là di ogni immaginazione: nel XVII secolo l’impero Moghul era l’economia più forte del mondo, circa un quarto del PIL mondiale; alla fine del secolo successivo tutto questo non esisteva più, il saccheggio, lo sterminio, la rapina continua avevano creato il deserto e qui sono inevitabili alcune riflessioni importanti sia in termini politici che economici. Se da un lato la CIO è sotto certi aspetti l’emblema dello sviluppo capitalista, il capitalismo nel quale si muove la CIO è un capitalismo principalmente mercantile, ovviamente non legato a processi industriali di produzione ma è comunque definibile come capitalismo se si condivide la definizione di Wallerstein per la quale il capitalismo è un sistema storico e sociale caratterizzato da un costante processo di accumulazione. Il secondo insegnamento riguarda le dimensioni di questa accumulazione: è appena il caso di ricordare che, quando si parla di rivoluzione industriale inglese, viene quasi sempre sottovalutato, per dirla con David Harvey, che ogni processo di accumulazione comporta un conseguente processo di espropriazione. L’espropriazione subita dall’Impero Moghul da parte di una nazione molto più limitata in termini geografici e demografici non sembra avere paragoni nella storia. Il terzo insegnamento, non meno importante, è che tale rapina avvenne perpetrata da un soggetto privato, una multinazionale, e non attraverso un’occupazione coloniale attuata da uno stato: la CIO arrivò ad avere uno degli eserciti più grandi del mondo per l’epoca, in certi momenti superiore a quello della Corona inglese, la quale iniziò a controllare maggiormente la CIO (non senza aggiungere danni a quelli già provocati dalla Compagnia) soltanto nell’ultimo quarto del ‘700, quando le crisi finanziarie della Compagnia iniziarono a mettere in serio pericolo lo stesso stato inglese.
Il libro, quindi racconta di come una singola società privata abbia sostanzialmente cambiato le sorti del mondo, assoggettando un continente intero e, spesso, riuscendo a mettere sotto ricatto il suo stesso Paese d’origine. Una situazione che, pensando alle multinazionali di oggi, appare di grande attualità ma è sicuramente meno immediato immaginare che tutto ciò accadde ben prima della presa della Bastiglia nella Rivoluzione Francese.
La domanda su come bilanciare il potere delle grandi multinazionali è esplicitata dall’autore stesso nelle ultime pagine ma, nello stesso tempo, l’autore ci dice che questa domanda non è solo di oggi e che non ha risposta da oltre trecento anni. Sottolinea solo, amaramente, che oggi le multinazionali non hanno più bisogno di un esercito privato per operare ma possono usare tranquillamente quello degli stati a loro supini, e questo la dice di gran lunga sull’evoluzione dei rapporti di potere tra Stati e mondo economico. Quello che ci insegna questo libro è appunto la storia e i meccanismi attraverso i quali questo rapporto si è evoluto al di là anche della storia della CIO, e impietosamente ci dice che i problemi che dobbiamo affrontare non sono patrimonio solo degli ultimi decenni ma degli ultimi secoli, prima ancora che la rivoluzione industriale avesse avuto inizio. Le conseguenze politiche e di pensiero in generale di questa presa di coscienza non possono essere sicuramente di poco conto, ed è una componente fondamentale per capire l’importanza di questa opera.

Marco Noris

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