Recensione: Claire Messud, L’ultima vita

Claire Messud
L’ULTIMA VITA
Edizioni Bollati Boringhieri, pp. 510, € 22,50
Traduzione di Costanza Prinetti

Se proprio vogliamo trovare una caratteristica che risalta in questo romanzo, possiamo scegliere la tristezza. Sagesse LaBasse, ormai venticinquenne, ricorda l’estate in cui perse l’innocenza; no, non l’innocenza cui subito pensa il lettore malizioso, ma un’innocenza intesa come purezza d’orizzonte, come possibilità di uno sguardo rivolto al futuro con speranza. Sagesse è figlia di albergatori: una sera dell’estate dell’89 il nonno spara un colpo di fucile per fare cessare il baccano di un gruppo di ragazzi che disturbano gli ospiti dell’hotel, un hotel sulla riviera, quindi fascia medio alta. Da lì parte la lenta disillusione di Sagesse nei confronti della vita. Il racconto del post fucilata si intreccia i motivi che spiegano, o giustificano in parte, tale atto. E tali motivi vanno a rievocare le origini della famiglia, una famiglia di pied-noirs. Costoro sono i francesi scappati dall’Algeria, ma anche dal Marocco e dalla Tunisia, che ebbero non poche difficoltà a reintegrarsi nella vita in patria.
Con una scrittura densa ed estremamente votata all’analisi psicologica, Sagesse, che dopo 15 anni da quei fatti vive e lavora in America, studia e descrive le motivazioni dei vari componenti della famiglia, fornendo alla fine uno spaccato storico e umano sicuramente pregnante, anche se un po’ ostico alla lettura, sia per la distanza nel tempo dai fatti sia per la lontananza culturale dei protagonisti. Su tutto aleggia il dolore per il perduto eden algerino, causa di tutti i mali successivi, fucilata del nonno compresa. Con Sagesse termina la famiglia LaBasse perché il fratello minore, Etienne, nasce con un grave handicap e quindi la speranza di placare il dolore è tutta riposta in lei, nella sua capacità di narrare il passato e di affrontare il futuro, futuro che si incarna in un immigrato algerino, Hemed, che arriva in America come i LaBasse arrivarono in Francia. Chiudere il cerchio, per vedere se l’ultima vita è quella buona.

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