Recensione: Jennifer Egan, Manhattan Beach

Jennifer Egan
MANHATTAN BEACH
Edizioni Mondadori, pp. 555, € 22,00
Traduzione Giovanna Granato

Questo libro ha delle buone premesse, una bella scrittura e una bella protagonista; peccato che la scrittrice ceda alla voglia di far finire tutto bene e, come spesso accade, la storie che finiscono solo bene sanno un po’ di posticcio, hanno in sé una forzatura che le rende trascurabili.
Peccato, ripeto, perché la storia di Anna Kerrigan, abbandonata dal padre all’età di dodici anni, abbandonata non in mezzo alla strada, ma alla mamma che vive a New York con Anna e la sorella minore, Lydia, può essere una storia che ne racconta tante altre, perché Lydia ha un handicap, un grave handicap, e sono gli anni ’30, c’è la depressione, e servono soldi, e allora da disoccupato il padre di Anna pensa bene di occuparsi con una branca non proprio legale dell’economia, branca che lo avvicina al signor Dexter, il proprietario della villa che dà su Manhattan Beach, trascurando la sua origine irlandese, che lo rende poco incline al malaffare, almeno secondo quanto ci fa capire la scrittrice, neanche gli irlandesi fossero i più integerrimi abitanti d’America, e che gli provoca un grave contrattempo, che scoprirete oltre, ma solo se leggerete il libro, nel mentre la figlia, abbandonata, ha trovato per sé una strada molto originale, ovvero fare la palombara, per realizzarsi nella vita.
Tra depressione, una guerra oltremare, figli con handicap e donne che devono restare illibate in vista del matrimonio, ci passa sotto gli occhi un’america reale e appassionante, anche se non sempre convincente, per via di quei due o tre momenti in cui la trama che rischia di incepparsi viene risolta, risospinta in avanti con soluzioni ad hoc che lasciano un po’ dubbiosi. Consigliatissimo comunque, se volete sapere tutto sulla vita dei palombari durante la seconda guerra mondiale.

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