Patrik Ourednik
CASO IRRISOLTO
Edizioni Keller, pp. 213, € 15
Traduzione di Alessandro Catalano
Potrei render pan per focaccia a questo romanzo non parlandone; ma come si fa? Chi si occupa di letteratura, ovvero del solo modo rimasto per parlare di ciò che esiste/non esiste, è costretto suo malgrado a vivere in una realtà di difficile definizione. Questo romanzo, con molta ironia e cultura, ci presenta una situazione sconosciuta. Ma questa situazione è sconosciuta perché noi che leggiamo viviamo in Italia e siamo in larga misura provinciali; del resto sono provinciali anche i protagonisti della storia, che vivono in un paese appartenente all’ex blocco sovietico. Ma, allo svolgimento dei fatti, il blocco è già crollato e le persone che ancora vivono nella città che io non nomino, ricordano le usanze degli anni passati. In particolare, il signor Dik, un pensionato inacidito dalla vita e l’ispettore Lebeda, portano su di sé tutti i segni del regime defunto. Il signor Dik, che è rimasto vedovo e padre di un figlio non proprio amato, passa le sue giornate nel quartiere ricordando i tempi andati. L’ispettore cerca invece di mantenere l’ordine nel quartiere, mantenendo molto defilate le sue idee di gioventù. Le sue idee nascono da un’educazione coerente con i tempi in cui fu bambino, si badi bene. Idee che lo spingono, come passatempo, anche a ricercare la verità di un caso irrisolto che risale a quarant’anni prima, un omicidio sui monti metalliferi.
Il romanzo è ravvivato, si fa per dire, da un paio di morti fresche, oltre a quella appena nominata. La presenza contemporanea di un ispettore di polizia e di due morti farebbe di questa storia un romanzo giallo. Ma l’autore non accetta questa strada, perché il giallo accenna ad un mistero con una soluzione, lascia sospettare la possibilità di un senso in ciò che accade. Dissemina allora la vicenda di una molteplicità di spunti e indizi che non portano a niente e anche il finale sembra precipitare il lettore nel nulla. Il nulla della storia che è anche il nulla della vita. Questo è il messaggio che Ourednik lascia infatti alle parole del commentatore finale, un’ovvia finzione narrativa che cerca di portare un po’ di luce su questo caso. L’irrisolutezza è però strutturale, ovvero irrinunciabile, ad ogni fatto della vita, anche al romanzo. Questo dato di fatto non è percepito normalmente, e quindi leggendolo, anche se ci accorgiamo che è strano rispetto a tutto il resto, non ci facciamo caso. Ma questo è un romanzo con la spiegazione, un po’ come i racconti di Borges, ed è quindi una spiegazione palesemente inattendibile, come la vita, che si svolge casualmente e termina senza un perché.
Divertenti entrambi, la vita e il romanzo, sapendolo prima.