Recensione: Jean-Luc Nancy, Banalità di Heidegger, Cronopio

Jean-Luc Nancy, Banalità di Heidegger
Cronopio, pp. 78, euro 11
Traduzione Antonella Moscati
In questo piccolo libro Jean-Luc Nancy fornisce in maniera chiara e comprensibile alcuni punti per chi voglia cercare di capire la filosofia di Heidegger e, fondamentalmente, come tale filosofia possa giustificare lo sterminio di massa del popolo ebreo tentato dai nazisti. Questo intervento si rende necessario dopo la pubblicazione dei quaderni neri, i quaderni di appunti ove Heidegger esprime le proprie idee meno comunicabili circa il ruolo degli ebrei nella distruzione dell’occidente e, di conseguenza, la loro necessaria distruzione da parte dell’imbarazzante forza nazista, che Heidegegr pare vedere come un male necessario per raggiungere più alti scopi.
Non potendo sviluppare in un piccolo libro una critica complessiva della filosofia heideggeriana, Nancy si limita a focalizzare alcuni punti; quelli che vengono messi in evidenza sono il concetto di inizio e quello di destino. Heidegger sostiene che l’essere si sia rivelato al mondo con i greci. A partire da questo disvelamento (l’aletheia) l’essere ha proceduto a nascondersi, ad essere sempre più gravato da fatti accidentali che nulla hanno a che vedere con il suo primo inizio. Il popolo ebraico si inserisce in questo progressivo nascondimento dell’essere con la propria modalità calcolatrice di affrontare la vita: “…il popolo ebraico, in quanto tale, svolge un ruolo determinante, per non dire primordiale, nello ‘sradicamento’ dell’essere” (p. 18). Il supposto atteggiamento calcolatore dell’ebreo di fronte al reale – un presupposto completamente razzista e banale, portato alla ribalta nell’Europa di inizio ‘900 dalla bufala dei protocolli dei savi di Sion – è ciò che allontana i popoli dall’inizio, che rende tutti i popoli uguali, che, in definitiva allontana la possibilità che l’essere avrebbe di svelarsi lasciando invece ogni spazio all’ente. In questo modo, rapportandosi all’essere in modo calcolatore, i popoli si allontanano dal proprio destino, un destino legato al territorio di provenienza, e si consegnano al falso divenire degli enti.
“Il pensiero di Heidegger, nella misura in cui si è sottomesso, negli anni 1930 – 1940 – al motivo dell’inizio e della storicità – di un’unica storicità – ha fatto ricorso all’antisemitismo (…) perché è rimasto profondamente attaccato all’odio di sé che ha continuato a caratterizzare l’occidente – almeno da Roma in poi” (p. 43). L’odio di sé è profondamente legato all’odio verso il calcolo, verso l’atteggiamento economico che, a detta di molti, avrebbe precipitato l’occidente in una dimensione inumana. Invece di analizzare questo odio di sé e scoprirne i motivi, è stato più facile per Heidegger assumere un nemico immaginario portatore di tutte le colpe; decretarne l’inevitabile distruzione ha fatto parte del discorso destinale dell’occidente in generale e del popolo tedesco in particolare. La speranza di recuperare l’umanesimo attraverso un nuovo inizio che è stato preceduto da una distruzione inumana di un popolo è palesemente assurdo, ma tant’è. Il cristianesimo ha abituato i suoi fedeli a guardare ad un al di là come ad un luogo reale, distogliendo in tal modo l’attenzione dall’al di qua ove i problemi andrebbero risolti. Eppure l’ente, ciò che esiste realmente, ha un suo innegabile peso; meglio quindi proporre una soluzione che sposti la colpa altrove: “Non c’è niente di sorprendente, se si afferma, per esempio, che Heidegger ripete a modo suo una frase di Marx: “Il cristianesimo è sorto dall’ebraismo. Nell’ebraismo esso si è di nuovo disgregato” (cioè, secondo il contesto, nel “bisogno pratico, l’egoismo, il tornaconto”) (p. 61).
Il discorso di Nancy è molto articolato e dettagliato, assolutamente godibile anche se, ovviamente, molto tecnico. Ne emerge tutta l’ambiguità e l’imprecisione contraddittoria dei discorsi di Heidegger: imprecisione e contraddittorietà che tanto hanno agevolato il suo affermarsi come grande pensatore dopo la fine del nazismo. Che Heidegger colga appieno e ponga in evidenza alcuni bisogni incoffessabili dell’occidente è fuor di dubbio; che tali bisogni siano frutto di una lettura di comodo della realtà, funzionale all’autoassoluzione dell’occidente ricco è altrettanto indiscutibile. Solo attraverso il calcolo e la numerazione del reale è possibile giungere ad una disposizione più umana dello stesso reale. Se ci si affida al disvelamento, alla rivelazione messianica, rischiamo sempre di finire in mani poco raccomandabili. Occorre riportare la democrazia alla ragione, non alla purezza dell’inizio; come conclude Nancy, “In altri termini, bisogna imparare a esistere senza essere e senza destinazione, bisogna imparare a non pretendere di cominciare né di ri-cominciare niente – e neanche di concludere” (p. 63).

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