Recensione: Joe Meno, Il grande forse, e/o

Joe Meno, Il grande forse
e/o, pp. 368, euro 19.50
traduzione Claudia Valeria Letizia
     La vita moderna è all’insegna della frammentazione, ce lo dicono da tutte le parti; come pure ci dicono che non è una bella cosa, ma pare che non ci sia niente da fare. La libertà, sconosciuta in epoche passate, ha i suoi fardelli. I quattro membri della famiglia protagonista di questa vicenda vivono tutti una vita sociale che non ha nessun rapporto con la vita familiare. La libertà della scelta si oppone in maniera palese alla costrizione del già scelto.
Il padre, Jonathan, è un paleontologo fallito che non riesce a trovare il calamaro gigante, ultima vestigia dei tempi ancestrali, che cerca da una vita. Madeline, la moglie, è un’etologa quasi altrettanto fallita. Sta conducendo un esperimento che non va come si aspetterebbe, per cui tenta di influenzare i dati. Poi ci sono le due figlie. Amelia, adolescente e rivoluzionaria, cerca in vari modi di risvegliare il sentimento della lotta nei suoi compagni e nelle compagne ma finisce in una situazione poco da femminista con il suo professore. Per finire Thisbe, la quattordicenne che per reazione alla famiglia atea ha da poco iniziato a frequentare la chiesa ed è ossessionata dal senso del peccato. Figurarsi cosa succede quando si innamora di una sua compagna.
     Fuori dal quadro familiare c’è il padre di Jonathan, nonno Henry. Nella casa di riposo dove Henry è ricoverato, lui non parla con nessuno; il suo unico scopo è fuggire per salire su un aereo e volare lontano, perso tra le nuvole. Ed eccoci al vero cuore pulsante, si fa per dire, di questo sconclusionato romanzo: le nuvole. Perché proprio le nuvole, l’ossessione del padre, sono l’incubo del figlio. Jonathan infatti, oltre ad avere la testa fra le nuvole, come gli rimprovera la moglie, è anche afflitto da una particolarissima ed irreale affezione neurologica: quando alza gli occhi al cielo e vede delle nuvole, sviene.
     Queste cinque storie sono assemblate in maniera disagevole per il lettore che giunge al finale, degno di una soap opera, pentito della sua scelta di iniziare la lettura. A salvare la baracca c’è solo una scrittura a tratti gradevole che pare promettere un contenuto corrispondente e che quindi spinge a continuare, ma che alla fine tradisce ogni attesa. Questi quattro cavillosi personaggi vivono le loro irredimibili vite all’insegna del titolo del libro: come un grande forse.

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