Recensione: Erik Larson, Il giardino delle bestie, Neri Pozza

RECENSIONE:
Erik Larson, Il giardino delle bestie
Neri Pozza, pp. 473, euro 19.50
Traduzione Raffaella Vitangeli
Nelle recensioni che ho presentato in questi anni ho sempre espresso l’idea che spetta alla letteratura di illuminare i particolari ormai invisibili della realtà, quei particolari su cui la televisione ed il pettegolezzo non portano la loro attenzione: per questo non è mia abitudine leggere e parlare delle ‘storie vere’, dei romanzi che parlano in maniera diretta di fatti accaduti a persone reali. Occorre sempre un po’ di interpretazione, perché solo in questo modo è possibile vedere. Una grossa eccezione è costituita dai fatti successi nella Germania nazista. Di quel periodo ho infatti letto molte storie, per la maggior parte cronache di chi era passato per i campi di sterminio, di chi aveva subito torture o  minacce per le proprie idee, convinzioni o credenze religiose. In questo caso la letteratura non può illuminare niente perché è già tutto lì da vedere, l’uomo privo degli strumenti che la ragione gli ha fornito in millenni di evoluzione che si dedica allo sterminio degli ebrei, alla distruzione delle regole di convivenza sociale, alla generazione di un terrore su tutti i livelli funzionale al controllo delle idee degli altri per l’attuazione di un ‘programma politico’ delirante.
     Fatta questa premessa, la storia vera di Edward Dodd, professore universitario, studioso di storia americana, uomo profondamente democratico, cresciuto nel rispetto e nella venerazione degli ideali americani fondativi, contenuta nel libro di cui parliamo oggi è esemplare. Il professor Dodd, nel 1933, sta cercando di portare a termine un’opera storica enorme, la storia del vecchio sud in cui è cresciuto; ma, gli obblighi universitari gli tolgono tempo ed energie. Allora, quando si profila la possibilità di avere un incarico diplomatico, ritenendola una specie di sinecura, un posto di rappresentanza e poco altro, accetta: si tratta dell’incarico di ambasciatore americano a Berlino. E’ il 1933, lo ribadiamo. Hitler è appena stato nominato cancelliere e le giubbe marroni, le squadracce naziste che lo hanno portato al potere, stanno iniziando a spargere il terrore nel paese.
     Il compito cui Dodd si è candidato si rivela  più gravoso del previsto. La sua profonda eticità si scontra con la necessità di mediazione che caratterizza il lavoro del diplomatico. Le idee diffuse in America sulla relativa, scarsa, pericolosità dei nazisti si rivelano false. Le violenze crescono, Hitler e i suoi accoliti sono sordi ad ogni mediazione e Dodd inizia ad opporsi con discorsi e prese di posizione pubbliche; passeranno quattro anni prima che l’ambasciatore e la sua famiglia vengano fatti rimpatriare.
      Le residenza che Dodd affitterà a Berlino è di fronte al Tiergarten, il parco più grande di Berlino, ex riserva di caccia dell’imperatore. Per tutta la durata del libro è come se noi, tranquilli lettori di un’epoca di pace sociale, fossimo alla finestra ad osservare gli animali dell’imperatore che, appena riacquistata la libertà, si vendicano delle privazioni subite. Ma gli animali non avrebbero mai fatto quello che hanno fatto i nazisti, perché solo la privazione della ragione può portare a simili atti. Erano animali caduti, erano bestie.
     Tiergarten, appunto: il giardino delle bestie.

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