Slavoj Zizek, In difesa delle cause perse, Ponte alle Grazie

Slavoj Zizek, In difesa delle cause perse
Ponte alle Grazie, pp. 557, euro 26
Traduzione Cinzia Arruzza

Le cause perse di cui parla, in questo ponderoso volume, il nostro filosofo sono, quasi inutile dirlo, le idee egualitarie della sinistra politica come si è storicamente manifestata. Un chiarimento, anzitutto. Con sinistra non si intendono i movimenti socialdemocratici affermatisi nell’occidente come risposta del capitalismo alle minacce provenienti dalle richieste dei lavoratori; la sinistra di Zizek è Robespierre, è Lenin è il primo Mao, quello della rivoluzione culturale. Tutti questi rivoluzionari sono stati portavoce di un tentativo di rinnovamento della società, un tentativo di cambiare le regole d’uso dei cittadini da parte della società, regole essenzialmente economiche e quindi disumane. Le loro rivoluzioni sono state torsioni dialettiche della storia. Tutti i loro tentativi sono stati riassorbiti dall’azione di personaggi che hanno tentato di riportare la normalità nel funzionamento dell’apparato.

L’obiezione che la storia muove a queste figure sta nel loro uso spregiudicato del terrore e della violenza sugli avversari politici e sui comuni cittadini. Il punto sta però nel senso che questa violenza assume nella situazione concreta; nessuno di questi grandi rivoluzionari ha compiuto violenza per propri fini, ma solo per fini generali: “Una posizione così inumana di assoluta libertà (nella mia solitudine, sono libero di fare ciò che voglio, nessuno ha presa su di me) coincidente con l’assoluta soggezione a un compito (il solo proposito della mia vita è compiere la vendetta) è ciò che caratterizza il soggetto rivoluzionario nel suo elemento più intimo” (p. 214). E’ chiaro che il soggetto rivoluzionario autentico pone l’umanità comune di fronte all’esistenza di un’etica diversa da quella solita, un’etica che possiamo definire inumana. Quest’etica non considera la persona in quanto soggetto libero agente di volizioni proprie, ma lo vede solo come oggetto portatore di valori definiti dalla struttura nella quale esso soggetto è inserito. Questa posizione definisce la fine dell’umanesimo attuale, che Zizek vede come uno dei tanti tasselli che il capitalismo ha messo in gioco per fermare la spinta rivoluzionaria del marxismo: “(Citando Alain Bodiou) Ciò che impedisce oggi la messa in discussione radicale del capitalismo in sé è appunto la fiducia nella forma democratica della lotta contro il capitalismo. (…) Questo è il nocciolo duro dell’universo capitalista globale oggi, il suo vero significante maestro: la democrazia” (pp. 230-231).

Con la locuzione Significante Maestro abbiamo toccato l’altro punto cardine della posizione di Zizek, ovvero la psicoanalisi di stampo lacaniano. In essa con Significante Maestro si intende “l’insieme di regole fondate solo in se stesse” (p. 35), in altre parole le norme civili. Storicamente queste norme trovavano conferma ausiliaria in un grande Altro (Dio in genere); oggi, la sempre minore credibilità dell’idea di dio indebolisce la possibilità del grande Altro, ovvero sgretola la struttura del Significante Maestro.

In una società priva di Significante Maestro si possono affermare solo due tipi di politica; una politica burocratico-funzionalista (in Italia, il centrosinistra) o una politica populista (Lega e Forza Italia). Questo perché solo il significante maestro è in grado di imporre dei limiti. Ogni politica che non si possa esplicitamente richiamare a ciò, deve concedere spazio al soggetto che si afferma attraverso i meccanismi appresi dal mercato, giungendo quindi a negare se stesso: “Nell’era attuale del permissivismo, che funge da ideologia dominante, è giunto il momento per la sinistra di ri(appropriarsi) della disciplina e dello spirito di sacrifico: non c’è niente di intrinsecamente fascista in questi valori. (…). Il libero soggetto della Ragione può emergere solo attraverso una spietata autodisciplina” (pp. 94-95).

Si conferma quindi il fatto che la psicoanalisi è una sorta di profilassi contro gli eccessi. In assenza di un grande Altro attivo, socialmente riconosciuto valido, questa profilassi può avere effetti esclusivamente individuali. Il possibile successo del processo psicoanalitico si basa proprio sulla rinuncia esplicita del grande Altro. A meno che Zizek non sostenga la necessità di ritornare ad un mondo teocratico, il mondo in cui il grande Altro è il giudice assoluto, la sua speranza di una rivoluzione sociale che trascenda i casi singoli e che impedisca al capitale di proseguire indisturbato la propria distruzione del mondo – ipotesi introdotta nell’ultimo capitolo in modo abbastanza forzato – mi pare di difficile comprensione.

Come già detto nel commento ad altri libri ritengo che questo stato di cose generale non comprometta la possibilità individuale alla salvezza. Non so se Zizek sostenga la necessità della rivoluzione sociale per partito preso; so però che a livello del singolo è sempre possibile una rivoluzione. Tutto sta nell’assumere un paradigma teorico forte e comportarsi di conseguenza: “In Logiques des mondes, Badiou fornisce una definizione succinta di ‘materialismo democratico’ e del suo opposto, il materialismo dialettico: L’assioma che condensa il primo è ‘Non esiste nient’altro che corpi e linguaggi’ a cui il materialismo dialettico aggiunge: ‘…a eccezione delle verità’” (p. 473).

Il materialismo democratico non vede altro orizzonte che quello su cui sta navigando, proprio perché non si preoccupa di individuare La Verità. Il materialismo dialettico propone cambiamenti per vedere un altro orizzonte e giungere ad un diverso porto d’approdo. La lezione che ci offre la storia è, secondo Zizek, che questi porti vanno presi di mira anche se ciò comportasse la violazione dei cosiddetti diritti umani; “La dialettica materialista prende atto, senza particolare gioia, del fatto che fino a ora nessun soggetto politico è stato capace di arrivare all’eternità della verità di ciò che si stava dispiegando senza momenti di terrore. Come si chiedeva Saint-Just: “Cosa vogliono coloro che non vogliono né la virtù né il terrore?” La sua risposta è ben nota: vogliono la corruzione – un altro nome per la sconfitta del soggetto” (p. 201).

Il succo del libro può essere così riassunto in una domanda retorica: la violazione programmatica degli attuali diritti umani (diritti del capitale) può portare all’affermazione dei veri diritti umani (diritti dell’individuo che gli impediscano di sfruttare altri individui)?

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