Doppia recensione: Luigi Natoli, I Beati Paoli
Federico De Roberto, I Viceré

Per chi volesse essere introdotto alle storie patrie nella maniera avvincente che garantisce il romanzo, ecco due opere poco avvicinate dai programmi scolastici – perversamente concentrati su Manzoni e Verga – ma che forniscono comunque interessanti spunti di analisi.


Luigi Natoli
I BEATI PAOLI
Edizioni Feltrinelli, pp. 1010, € 23

I Beati Paoli interessa la Sicilia, nello specifico Palermo, e si sviluppa fra la fine del ‘600 e i primi vent’anni del ‘700. Si differenzia da I Viceré, ambientato anch’esso in Sicilia ma fra il 1855 e il 1882 per il suo carattere meno veristico – del resto De Roberto è amico di Verga – e più avventuroso, quasi rocambolesco, una specie de I tre moschettieri in ambiente popolare. Vuole la leggenda che in Sicilia vi fosse una setta – i Beati Paoli appunto – che per conto della piccola borghesia si occupava di raddrizzare i torti perpetrati dalla nobiltà. Il primo torto viene perpetrato nella famiglia Albomonte, duchi della Motta, il cui fratello cadetto, Don Raimondo, approfittando della scomparsa del fratello maggiore, procede ad uccidere la cognata e, così crede, il figlio appena nato del fratello morto. Ma ovviamente questo nipote non è morto e ricomparirà quindici anni dopo insieme al figlio naturale del duca, Blasco, di dieci anni più vecchio, che novello D’artagnan riporterà la giustizia in famiglia. Questa torbida vicenda famigliare si intreccia alle gesta dei Beati Paoli che, in una Sicilia appena ceduta ai Savoia e in procinto di passare ai Borboni per oltre un secolo, si alleeranno a Blasco per combattere il male incarnato da Don Raimondo.


Federico De Roberto
I VICERÉ
Edizioni Feltrinelli, pp. 664, € 11

Sempre romanzando, I Viceré parla di una Sicilia che sta per uscire dall’orbita borbonica per entrare sotto lo scettro dei Savoia. Il romanzo si apre con la morte della principessa Uzeda. Alla sua morte fa seguito la lettura del testamento con il quale distribuisce in maniera iniqua i beni tra i tre figli maschi e le due figlie femmine. Lo svolgimento del romanzo segue la trasformazione della famiglia a seguito della diversa distribuzione del denaro. Anche qui, come in Verga, la ‘roba’ pare l’unica molla in grado di stimolare le persone. Tra tutti gli odi, le conguire e le ripicche che vedono il primogenito, Giacomo, tentare di concentrare sotto il suo controllo più roba possibile, a dispetto del cadetto Raimondo, terzogenito e preferito dalla madre, si leggono i vari fatti storici che portano alla creazione del regno d’Italia. La meschinità della famiglia Uzeda rivaleggia ad armi pari con i Malavoglia e tra le sue fila vi sono sia protagonisti ben delineati – i due maschi principali eredi, in quanto il secondogenito s’è fatto prete e in quanto tale prende poco – sia personaggi stereotipati, come Don Blasco, il prete fratello della principessa che viene accecato dal denaro e serve da incarnazione dello spirito più retrivo della chiesa.


Come dicevo all’inizio questi due romanzi possono essere utili per avvicinarsi alla storia d’Italia ma non proprio in senso documentale, non trattandosi di romanzi storici ma di romanzi popolari, soprattutto per il libro di Natoli. Questa distinzione fa riferimento a un articolo che Eco scrisse a prefazione de I Beati Paoli, nel quale si rimarca il carattere moraleggiante del romanzo storico contrapposto allo spirito più d’intrattenimento del popolare. Questo spirito nasconde altresì il carattere manicheo del romanzo popolare, ove il bene si contrappone al male in maniera stereotipata e dove il bene alla fine vince anche effettuando delle svolte narrative ardite, che alla sensibilità postmoderna possono risultare banali, ma che vanno lette nel tempo in cui questa storia fu scritta; inoltre, questa struttura narrativa – del romanzo popolare – nasconde il fatto che l’unico modo possibile perché il popolo ottenga giustizia è un intervento dall’alto che esclude il popolo da una qualsivoglia decisione in merito.
Mentre possiamo porre in contrapposizione Natoli a Manzoni, De Roberto si schiera dalla parte di Verga ma con un risultato più godibile, più simile al Gattopardo anche se qui il principe Fabrizio è incarnato da un personaggio minore, donna Ferdinanda. Le alternative a Verga e Manzoni ci sono, basta cercarle.

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