Recensione: Guzel’ Jachina, Zuleika apre gli occhi

Guzel’ Jachina
ZULEIKA APRE GLI OCCHI
Edizioni Salani, pp. 490, € 19,80
Traduzione di Claudia Zonghetti

Un romanzo storico non deve limitarsi a narrare i fatti; per piacere dal punto di vista della lettura, deve intrecciare ai fatti le vite individuali. L’esordiente Guzel’ Jachina vi riesce benissimo, narrando il percorso di liberazione individuale che conduce l’ingenua Zuleika da una casa a Kazan a metà degli anni ‘20, una casa tatara che divide con il marito Murtaza – un bravo marito, che non la picchia neanche troppo – e la vecchia suocera, la Vampira, ad una situazione completamente diversa sulle rive dell’Angara, un fiume della siberia meridionale, dove ha trascorso i vent’anni che le ci sono voluti per aprire gli occhi. Questa storia individuale si intreccia come dicevo alla storia russa, alla storia di una rivoluzione che, dopo Lenin ed il suo progetto della NEP, vide una rapida e cruenta marcia indietro ad opera di Stalin, che soppresse la nuova classe economica nata da questo progetto ed i suoi rappresentanti, i Kulachi. Già il primo capitolo riesce a conquistare il lettore pur in assenza di un discorso storico. La giovane Zuleika si alza prima dell’alba e inizia la sua giornata, una specie di Ivan Denisovic che, pur non vivendo in un gulag, vive in una condizione per certi versi peggiore: perché donna in una società islamica arretrata d’inizio ‘900; perché moglie di un nemico del popolo, in una Russia che sta ancora cercando di rimettersi in piedi dopo la guerra ed il cambio al potere seguito alla rivoluzione d’Ottobre; perché ingenua e gravata da secoli di superstizioni che non le consentono di aprire gli occhi. Ci vorranno vent’anni perché questo accada e l’intreccio della sua vita a quella di molte altre persone, in particolare quella del comandante dei militari russi Ignatov, fanno sì che il romanzo scorra via veloce e piacevole.
E alla fine anche voi avrete aperto gli occhi.

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