Recensione: Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici

Tom Nichols
LA CONOSCENZA E I SUOI NEMICI
Edizioni Luiss, pp. 235, € 20,00
Traduzione Chiara Veltri

Ogni settore dello scibile umano ha impiegato migliaia di anni per giungere agli elevati livelli odierni; fino a pochi decenni fa, pochi erano competenti in settori specifici; la maggior parte delle persone sapeva poco di poche cose. Oggi tutto è mutato, tanto che, dice l’autore, “Se le competenze di settore non sono morte, però sono nei guai” (p. 11). Questo cambiamento è, però, solo apparente. Oggi un gran numero di persone crede di essere competente in settori nei quali ha, tutt’al più, una conoscenza appena accennata. La diffusione degli pseudo esperti è frutto della rete, non c’è che dire. O meglio, la rete ha permesso agli pseudo esperti di uscire dall’ambito limitato nel quale hanno sempre operato per raggiungere una platea più vasta. Il primo capitolo è dedicato ad una veloce rassegna di casi che mostrano l’effetto che la conoscenza superficiale fornita dalla rete ha sui suoi fruitori. A titolo d’esempio, il caso dello chef Patterson che difende a spada tratta l’uso del latte crudo in cucina, sostenendo una sua superiore qualità intrinseca, senza fare accenno al fatto che, stando ai dati sanitari, chi assume latte non pastorizzato ha 150 probabilità in più di contrarre malattie legate all’alimento rispetto a chi consuma latte trattato. Ben più grave, a riprova che l’effetto della rete sulle persone non è innocente, il caso di Michael Davidson, giovane trentacinquenne americano la cui madre morì a seguito di un’operazione cardiaca. Convinto della responsabilità dei dottori, Davidson andò all’ospedale e sparò al medico che aveva operato la madre; dopodiché, si suicidò. Alla sua morte, la polizia rinvenne una chiavetta piena dei dati che Davidson aveva trovato, in rete, e che confermavano la sua convinzione nella responsabilità dei medici. Al di là del caso specifico, è evidente che quando persone non formate vanno alla ricerca di qualcosa in rete, trovano sempre dati che confermano le loro ipotesi, anche le più strampalate. In Italia la diffusione delle opinioni contro l’obbligo vaccinale è la prova di questo effetto.
Una diffusione mai vista di informazioni sta avendo come effetto imprevisto la destituzione di validità oggettiva all’informazione; dato che in rete si trova tutto e il contrario di tutto, la maggior parte degli utenti della rete pensano di essere dei brillantoni quando in realtà hanno semplicemente scovato un paio di siti che confermano i loro pregiudizi. “Tutti ci sopravvalutiamo, ma i meno competenti lo fanno più degli altri” (p. 59). Ora la fascia dei meno competenti che possono esprimere le proprie opinioni con qualche speranza di essere ascoltati s’è allargata in maniera preoccupante; inoltre è aumentata anche l’importanza che le opinioni dei non competenti, che sono la maggioranza, hanno nel determinare le scelte di mercato. Nichols dedica un paio di capitoli ad esaminare l’effetto che questa trasformazione sociale ha nel determinare le scelte delle strutture d’istruzione e dei mezzi d’informazione. Oltre alle notazioni critiche sull’atteggiamento di giornali e televisioni nei confronti delle informazioni da passare ai propri utenti/clienti, l’autore, in quanto insegnante, è particolarmente amaro nei confronti della situazione della scuola americana. Ecco una frase campione: “L’istruzione superiore dovrebbe curarci dall’errata convinzione che tutti sono intelligenti allo stesso modo” (p. 83).
L’istruzione dovrebbe essere un processo che permette ad ogni individuo di estrarre da sé le proprie capacità conformandosi ad un modello nella speranza di superarlo; oggi invece pare che in America lo scopo delle strutture d’istruzione sia di attrarre clienti con la promessa che potranno continuare a vivere come hanno fatto fino a quel momento, senza troppo sforzo né timori d’insuccessi. A testimonianza di questa opinione cita l’aumento medio dei livelli delle votazioni, un aumento che non si giustifica a livello statistico. Accoppiata a questa arrendevolezza dei criteri abbiamo l’arrendevolezza dei genitori, che tendono ad assecondare le scelte dei figli, scelte ovviamente motivate da fattori diversi dallo sforzo richiesto da una scuola. Per sostenere questa opinione, Nichols cita un fatto accaduto a Yale nel 2015 che ebbe una discreta risonanza in America (cfr. pp. 111 sgg.). A partire da questo fatto, relativo all’atteggiamento da avere nei confronti delle maschere di Halloween, deriva la difficoltà per i docenti di porre dei limiti al comportamento dei propri studenti; e, senza la possibilità di porre dei limiti, scompare anche la possibilità di educare. Ecco come conclude il capitolo Nichols: “Per i professori di qualsiasi istituto, la lezione è stata chiara: il campus di una prestigiosa università non è un luogo deputato all’esplorazione intellettuale. E’ una casa di lusso, affittata da quattro a sei anni, nove mesi alla volta, da bambini dell’elite che possono urlare contro il corpo docente come se stessero rimproverando delle goffe domestiche in una villa coloniale” (p. 112).
Lo stato dell’istruzione si lega all’onnipresenza dell’informazione. Ora per sapere una cosa non è più, apparentemente, necessario andare a cercarla in un libro e studiarla: ora lo cerco su Google. Come se la presenza di un’informazione sul sito più utilizzato al mondo la rendesse vera. Ma è proprio quello che credono le persone prive di senso critico, che è proprio il sesto senso che dovrebbe sviluppare l’istruzione. La mancanza sempre più diffusa di senso critico permette a millantatori e ciarlatani vari di prosperare nella più tranquilla assenza di un contraddittorio; contraddittorio che, quand’anche ci fosse, verrebbe immediatamente vanificato dall’abbassamento del livello della discussione; la rete non rende le persone più intelligenti, le rende meno pazienti e meno in grado di accettare opinioni diverse dalle proprie. Prova ne è il fatto che i social tendono a formare gruppi omogenei per opinioni e tendenze. Tornando alla polemica sui vaccini che infuria in Italia, “Gli agitatori antivaccinisti sanno sempre trovare un ricercatore eretico o uno ‘studio’ a caso che confermi le loro idee. Questa è l’erudizione nell’era del cyberspazio: navighi finché non giungi alla conclusione che stai cercando. Vai avanti da un clic all’altro in cerca di conferme, confondendo la presenza di un sito web con la plausibilità di una tesi” (p. 126).
Tutto quello che dice l’autore si può fare rientrare tra gli effetti del livellamento del tutto in atto da oltre cinquant’anni. La tendenza alla mediana, più accettabile in media e quindi più vendibile, più redditizia, si rivela essere una nemica della conoscenza, in quanto la conoscenza tende per sua natura agli estremi. Non è vendibile sic et simpliciter ed ha come effetto indesiderato quello di rifiutare i non idonei ad essa, che sono la maggioranza.
Addirittura il tipo di notizie da pubblicare viene ormai scelto in base ai gusti dei lettori dei quotidiani; ciò può non essere vero in assoluto, ma anche il solo fatto che ciò sia possibile spinge gli stessi giornalisti ad avere un diverso atteggiamento nei confronti del proprio lavoro. (cfr. pp. 148 sgg.).
Il rispetto dell’autorità è andato via via scemando anche in funzione dell’aumento esponenziale del tempo dedicato all’informazione. Ove un tempo il poco spazio a disposizione rendeva necessario che a riempirlo fosse una voce autorevole, esperta, ora le ore e ore di informazione richiedono espressamente un livellamento dello standard dell’informazione fornita; ora anche i non esperti possono parlare, e quanto più il loro discorso coglie il sentire spontaneo della popolazione, spesso ispirato da pregiudizi ed in ogni modo avverso al ragionamento critico, tanta più credibilità essi assumono.
Anche gli esperti ovviamente sbagliano, ma se lo fanno ciò può essere anche solo frutto di imperizia. Talvolta però può esserci una cattiva intenzione a pilotare il giudizio dell’esperto, ed è per questo che il ruolo di controllo della pubblica opinione è irrinunciabile. Un controllo, però, che si deve basare su una capacità critica e non sulla consultazione di wikipedia e di una decina di siti tendenziosi.
Il ruolo degli esperti soffre poi di una duplicità frutto dell’età contemporanea. Da un lato gli esperti più consultati ovvero quelli più criticati, perché la consultazione di un ampio spettro di popolazione sottopone anche ad una larghissima possibilità di critica, spesso opinabile, sono quelli delle scienze umane. Le scienze umane però, nonostante il nome, non sono scienze a tutti gli effetti, non godono cioè della falsificabilità. Quasi ogni esperimento nel campo delle scienze sociali, come in campi affini non è replicabile e quindi nemmeno falsificabile. Le conclusioni che un sociologo trae da un esperimento dipendono anche dalla sua ideologia preesistente e il pubblico della rete, spesso guidato da strutture poco trasparenti, è diventato bravissimo a svelare questa opacità. Quello che ci lascia il discorso di un esperto è una narrazione, cioè una particolare prospettiva su un fatto specifico. Compito del pubblico sarebbe esercitare la propria capacità critica su tale narrazione, ma qui entriamo nel succitato problema della progressiva trascuratezza per questa capacità fondamentale, da curare sia nei giovani sia tra gli adulti.
Oltre a questo problema della natura narrativa delle conclusioni degli esperti, abbiamo il problema della predittività. All’esperto spesso si chiede di dire come andranno le cose. Ma l’esperto questo non lo sa, non è un indovino, è solo uno che sa più cose di me in un campo ben specifico. Compito della scienza è spiegare le cose, non predire il futuro. Compito del pubblico sarebbe capire le conclusioni della scienza che, in quanto scientifiche, parlano dell’ordine del mondo, che è lo stesso per tutti. Mi pare evidente che siamo ben lontani da questo risultato. “Le predizioni sono un problema per gli esperti. Il pubblico le chiede, ma gli esperti di solito non sono molto bravi a farle. Il motivo è che non sono tenuti ad esserlo: lo scopo della scienza è spiegare, non predire. E tuttavia le predizioni, come le trasgressioni in altri campi di competenza, sono l’erba gatta degli esperti” (p. 197).
Il diffuso sospetto nei confronti degli esperti può spiegare molti fatti politici recenti, accomunati da quello che viene definito, sempre dagli esperti, il pensiero populista. Gli esperti hanno sbagliato a predire sia il risultato della Brexit, sia l’elezione del presidente USA, sia, in parte, il risultato delle elezioni politiche in Italia e in Francia. La democrazia è a rischio sotto i governi populisti? Questa domanda merita un’attenta considerazione prima di una risposta stereotipata, una considerazione che deve abbinarsi ad un’altra domanda, ovvero: il popolo è a rischio sotto i governi liberali?

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