Recensione: William Boyd, Una tempesta qualunque, Giano

William Boyd, Una tempesta qualunque
Giano, pp. 447, euro 18
Traduzione Massimiliano Morini
 
Per fortuna che c’è la letteratura. Mi pare questo l’unico commento possibile al termine di un libro che per maestria della costruzione e naturalezza delle motivazioni addotte per lo svolgimento della trama mostra la possibilità di una scrittura di qualità che non si arrocchi sulla necessità di difendere la forma ad inevitabile scapito del contenuto. Eppure la trama non brilla certo per originalità. Il protagonista, Adam, è un ricercatore universitario che, per problemi di corna, ha dovuto lasciare l’università americana dove lavorava e trasferirsi a Londra dove ha appena sostenuto il colloquio presso un nuovo istituto. Nel bar dove si sta riprendendo dalla tensione accumulata, conosce un tipo, tale dottor Wang. Due parole di cortesia e il dottor Wang esce di scena, dimenticando la sua valigetta. Adam se ne accorge e, prendendo il numero dal biglietto da visita che gli è stato lasciato, chiama e si offre per riportare la valigetta all’albergo dove il legittimo proprietario lo aspetta. Adam, ignaro, sale alla camera del dotto Wang. Qui, e tutti ce lo aspettiamo, c’è il dottor Wang morente sul letto, con un coltello piantato nel fegato. Adam, dietro sua richiesta, glielo toglie e il dottor Wang muore. Un rumore alla finestra. Adam, oltremodo impaurito, fugge; e diventa così, il ricercato numero uno per l’omicidio. Questo è solo l’inizio.
Se la partenza ricorda certi film di 007, il seguito vi farà ricredere. Entrano in ballo una poliziotta onesta, un assassino in fin dei conti coerente, dal suo punto di vista – certo non uno cui affidare la figlia – il passato di Adam, una serie di barboni e disadattati sociali vari sparsi nella Londra d’oggi, oltre ai vertici dell’azienda farmaceutica per cui il dottor Wang lavorava e per cui stava producendo un nuovo farmaco contro l’asma. Tutte queste persone sono intrecciate con precisione millimetrica per condurci senza nessuno sforzo al termine di queste quattrocento e passa pagine. La scrittura essenziale, mai ridondante o superflua, consente di scavalcare il piccolo intoppo di una trama tutto sommato banale, ulteriore esempio dell’importanza che ha la forma sul contenuto. Una forma di qualità può rendere gradevole un contenuto modesto – che incidentalmente non è tale in sé in quanto il suo significato dipende dalla forma – mentre una forma modesta o astrusa fa fatica a rendere interessante qualsiasi contenuto.
La buona letteratura rende la Realtà imprevedibile?

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