Milena Agus, Mal di pietre, Nottetempo

Milena Agus, Mal di pietre
Nottetempo, pp. 119, euro 13

In letteratura esistono diversi piani di complessità. In cima possiamo mettere l’Ulisse di Joyce, in fondo questo Mal di pietre. Attenzione però a non confondere il giudizio sulla complessità con il giudizio sulla qualità. Non necessariamente un libro complesso è di buona qualità, come non è necessario che un libro semplice sia brutto. La vita della nonna raccontata alla madre che la racconta alla figlia è una delle strutture più lineari ed abusate della storia letteraria, ma Milena Agus la fa sua con garbo e, soprattutto, un’attenzione a restare nei limiti naturali della situazione narrata tali da farla apprezzare.
Il punto focale della storia è infatti l’incontro casuale tra nonna, fortuitamente sposata sulla soglia del zitellaggio, e il Reduce alle terme dove la nostra era andata a farsi curare i calcoli, il mal di pietre; tra i due, ci racconta la figlia, fu amore fortuito e violentissimo. Facile sarebbe incanaglirsi sulla descrizione dello struggimento dell’assenza patita dalla nonna una volta tornata a casa o dare lubrichi particolari del rapporto durante le settimane alle terme; niente di tutto ciò, per fortuna. La Agus ci racconta invece la vita della nonna e del nonno, una coppia veramente male assortita, all’apparenza. Le attenzioni del nonno, anarchico e libertario, mal visto nel paesino sardo dove si svolge la vicenda, per la nonna, mattarella che si avviava non voluta da alcuno verso la maturità, sono il vero motivo che anima le pagine, e la rivelazione finale non fa altro che confermare questa lettura. La lettera del Reduce trovata nel muro della casa della nonna, che la figlia sta ristrutturando, getta uno nuova luce su tutta la vicenda che conferma la centralità del rapporto tra i due avi della narratrice per capire la storia.
La rilevanza di ciò che non balza immediatamente all’occhio per capire meglio, per arricchire anzi la storia, è l’aspetto che permette di apprezzare questa semplicità; ma occorre tempo, e l’estrema brevità del testo rischia di far passare il lettore sopra particolari che, in un libro più complesso, ovvero più costruito, sarebbero stati ingranditi per catturare l’attenzione. Merito quindi all’autrice e ai redattori di questa piccola casa editrice che hanno lavorato per produrre un libro che, senza mirare alla complessità di Joyce, riesce con la sua semplicità a raggiungere uno degli obiettivi che la buona letteratura può rivendicare, il piacere della lettura.

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