Recensione: Don Robertson, Paradise Falls. Il paradiso

Don Robertson
PARADISE FALLS. IL PARADISO
Edizioni Nutrimenti, pp. 670, € 22
Traduzione di Nicola Manuppelli

L’America, come ogni grande nazione, ha una grande, in termini quantitativi, produzione letteraria e, ovviamente, è difficile per chi non è americano coglierne l’ampiezza e i collegamenti; tanto più per noi italiani, che viviamo solo di traduzioni, è difficile percepire questa grandezza. In particolare il filone western, che la mia generazione conosce quasi esclusivamente per i film, ha avuto una grande importanza in America.
Don Robertson, nel lontano 1968, riprende questa tradizioni e la fa diventare qualcosa di molto più interessante, sia dal punto di vista contenutistico sia dal punto di vista formale. La vicenda, che vede scontrarsi a Paradise Falls, un’idilliaca località dell’Ohio, il patriarca della comunità Ike Underwood con il nuovo arrivato Charley Wells, supera lo scontro paradigmatico tra bene e male, modernità e tradizioni, vecchio e nuovo insomma ed assurge a probabile modello per molti autori seguenti, non solo in campo letterario. È difficile riassumere i dieci anni che sono narrati in queste densissime seicento pagine e che spingono a leggere le successive ottocento della seconda parte, L’inferno, ma vale la pena segnalare che i due contendenti sono circondati da una miriade di personaggi non proprio minori, ciascuno dei quali narra parte della vicenda e giustifica le svolte che in essa si verificano: repentinamente ma in modo logico si passa da un villaggio dove poche persone vivono stentatamente ad una cittadina che si espande grazie alla forza propulsiva dell’industria. Ma anche le vite delle persone si trasformano di conseguenza e non possiamo che restare colpiti dalla vita delle mogli dei due protagonisti, Phoebe e Nancy, come dalle vicende economico politiche abilmente architettate dall’autore per tenere viva senza sforzo l’attenzione del lettore. Lo stile poi, contribuisce in maniera non secondaria alla facilità con cui le pagine scorrono. Robertson non si perde mai in inezie, facili psicologismi o descrizioni paesaggistiche, no, si ferma a descrivere ogni singolo movimento, ogni singolo oggetto che riguarda il protagonista della vicenda in quel preciso momento, anche se apparentemente secondario, e così facendo ottiene il risultato di rendere interessanti situazioni residuali e dettagli trascurabili ma che, nella visione generale dell’opera, prenderanno poi un senso definito. Un lavoro d’insieme che porta in altri tempi della letteratura, quando c’erano solo i libri per capire le cose.

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